Questa settimana, da mercoledì 29 febbraio a sabato 3 marzo, Marco Paolini porta in scena al teatro Alighieri di Ravenna il suo nuovo spettacolo sul grande scienziato italiano, il padre della Scienza moderna: ITIS Galileo (vedi l’articolo correlato).
Credo che scrivere un post su Galileo sia un’impresa impossibile, almeno quanto scriverne uno su Einstein. Galileo è forse lo scienziato più grande che l’Italia abbia mai avuto; tante e tali le scoperte e le intuizioni che ha regalato alla Scienza che è quasi impossibile descriverle tutte o scegliere tra esse. Inoltre la sua vita è intrecciata in maniera inestricabile con la sua opera: impossibile disgiungerle.
E su questo vorrei concentrarmi per questo post, il Galilei uomo.
Galileo Galilei nasce a Pisa nel 1564, un anno dopo la chiusura del Concilio di Trento.
Avvicinato allo studio della medicina dalla famiglia, si rivela un pessimo studente: indisciplinato e gaudente, preferisce le osterie alle aule universitarie, tanto che dopo pochi anni abbandona la medicina e si dedica da autodidatta allo studio della geometria. E da lì giunge a fisica ed astronomia.
A 25 anni diventa lettore all’Università di Pisa e dal 1592 si trasferisce a Padova dove rimarrà fino al 1610 occupando la cattedra di matematica.
A fianco dell’attività universitaria, per arrotondare costruisce e rivende strumenti, fa oroscopi (cosa proibita dalla Chiesa, poiché predire il futuro confligge col libero arbitrio), apprezza i piaceri della vita e convive fuori dal matrimonio con una donna dalla quale ha anche avuto un figlio (proibitissimo!!!), cosa per la quale nel 1604 riceve un’accusa dall’Inquisizione -probabilmente su segnalazione della sua stessa madre, una donna meschina che lo minaccia per soldi finché è vissuta.
Siamo in piena Restaurazione. All’epoca un’accusa da parte dell’Inquisizione non era roba da prendere alla leggera e Galileo lo sapeva benissimo.
Giordano Bruno, pretendente alla stessa cattedra poi assegnata a Galileo, viene arrestato a Padova dal Santo Uffizio nello stesso anno in cui Galileo vi arriva, e poi arso vivo a Roma nel 1600.
E’ in questo contesto storico che Galileo compie ricerche che lo portano a mettere in discussione le fondamenta stesse della fisica e dell’astronomia come stabilite da tradizione aristotelica e da “interpretazione” delle Sacre Scritture. In particolare Galileo crede nel modello copernicano, il quale descrive i moto dei pianeti ponendo al centro il Sole, detronizzando così la Terra dal centro dell’Universo: un bagno di umiltà per l’uomo che la Chiesa reputa inaccettabile, quindi eretico.
Galileo è consapevole dei rischi che corre e prova a divulgare con attenzione le sue opinioni a riguardo, ma il fato cospira contro di lui: nel 1609 si trova tra le mani un nuovo strumento proveniente dall’Olanda, un cannocchiale.
Lo perfeziona per rivenderlo al governo veneziano, poi fa una cosa rivoluzionaria: lo punta verso il cielo.
E lì vi scopre le imperfezioni lunari e le macchie solari, i satelliti di Giove e le fasi di Venere, tutte cose in conflitto con la presunta perfezione dei corpi celesti e con la centralità della Terra.
Galileo sa di dover essere prudente nel diffondere le sue ricerche, ben conscio del grande rischio che corre, ma d’altra parte la sua mente irrequieta non gli permette di abbandonare i suoi studi.
Galileo non è l’eroe di Brecht, ma un uomo vero, tormentato, vitale e combattuto, stretto tra paure molto umane (e assai concrete) e la forte convinzione nelle sue osservazioni dirette.
La fine della sua storia umana la conosciamo tutti.
Dopo decenni di ricerche condotte con circospezione, dopo l’elezione a pontefice del suo amico Urbano VIII, Galileo lascia da parte molti dei suoi timori e nel 1632 pubblica un libercolo in cui, sotto forma di dialogo, sostiene apertamente la teoria copernicana, e lo fa in volgare per darne ampia diffusione. E’ il famoso Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Ed è un successo enorme.
Ma ha fatto male i suoi conti: una frase attribuita a Simplicio, il villano e non proprio acuto protagonista (nomen omen), irrita terribilmente il pontefice che riconosce le sue stesse parole pronunciate in conversazione con Galileo.
Un Galileo quasi settantenne viene condannato per eresia, messo in carcere e obbligato a rinnegare tutte le sue convinzioni finora sostenute. La famosa abiura fu pronunciata nel 1633.
Successivamente il vecchio Galileo è confinato agli arresti domiciliari ad Arcetri, dove passerà in isolamento gli ultimi anni della sua vita.
Galileo è un vecchio cieco e sconfitto, che però non si quieta: scriverà in una lettera “Nelle mie tenebre non posso dar quiete all’inquieto mio cervello”. E infatti in quegli anni riesce comunque a far pubblicare all’estero il suo ultimo libro di ricerche in cui descrive il moto dei gravi.
Sconfitto a Roma, Galileo è però è un grande vincitore per la Scienza e per la Storia dell’Uomo.
Ci lascia il principio d’inerzia, la conservazione del moto, gli studi sul pendolo, sulla caduta dei gravi, la relatività del moto, il perfezionamento del cannocchiale e le osservazioni astronomiche, il sostegno al modello copernicano, il metodo scientifico basato sulle osservazioni. Insomma, le fondamenta della Scienza moderna.
Muore nel 1642.
Nello stesso anno in Inghilterra nasce Isaac Newton che ne raccoglierà l’immensa eredità scientifica.
Ma questa è un’altra storia.
PS: La famosa frase “Eppur si muove”, che credenza comune attribuisce a Galileo subito dopo l’abiura, in realtà non è mai stata pronunciata. Ma lo si può perdonare per questo. Forse non ha avuto un ufficio stampa all’altezza, ma con la sua forza e ostinazione ha dimostrato nei fatti ciò che quella frase a parole mirabilmente sintetizza: una mente indomita sconfitta dalla Storia ma irriducibile.
Io l’ho comunque scelta come titolo di questo blog poiché ritengo sia in grado di esprimere il tormento e la ribellione interiore che, di volta in volta, accompagnano le grandi rivoluzioni e gli scatti in avanti della Storia.