L’infermiera di Lugo non potrà più tornare al lavoro in ospedale. Il giudice del lavoro del tribunale di Ravenna ha respinto la richiesta di reintegro all’impiego di Daniela Poggiali, a suo tempo licenziata dall’Ausl, dopo le pesantissime accuse di omicidio di una paziente del reparto in cui operava, che oggi le stanno costando il carcere, in attesa di giudizio.
Le motivazioni del giudice Riverso si concentrano tutte sulle sconcertarti “foto ricordo“ in cui la dipendente dell’ospedale lughese ridacchia e ammicca sul cadavere di una sua anziana assistita: un’abominevole immaginario che oscilla, nella derisione della morte, fra l’idiozia e la malvagità. Un esempio di “banalita del male“ – ha citato il magistrato nella sua relazione – che ricondotto sul piano delle responsabilità sociali corrisponde al prete pedofilo, al giudice che vende le sentenze, al medico che specula sulla salute, alla maestra che abusa dell’infante, all’imprenditore che apprezza il terremoto, al politico che patteggia con la mafia, allo sportivo dopato… e, potremmo dire noi, al giornalista che manipola la verità dei fatti. Al di là dei doveri deontologici, qui si tratta di avere disonorato un ruolo.
Per certe professioni l’etica non è un’opzione, è un requisito di merito per fare parte della comunità umana. Se no sei fuori. Almeno dovrebbe essere, come minimo…