La fantomatica E55 Orte-Mestre spunta fuori nell’inchiesta sulla corruzione legata alle Grandi Opere. Dalle nostre parti se ne parla da oltre un decennio come un toccasana per fare uscire Ravenna dall’isolamento storico e inserire finalmente anche il porto in un sistema infrastrutturale nazionale ed europeo. Con il plauso di innumerevoli politici e amministratori locali.
Peccato che per ora, l’unico sistema a cui quest’autostrada – tanto più evocata quanto meno realizzata – si ricollega è quello di manovre non proprio cristalline per ottenere permessi, finanziamenti pubblici e appalti.
Vedremo se l’inchiesta della Procura di Firenze che chiama in causa il burocrate dei lavori pubblici Incalza e l’ingegnere Perotti (quello con l’ufficio a Ravenna) mandi definitivamente in archivio il progetto, oppure se il tormentone della sua improbabile realizzazione continuerà ancora a fare capolino sulle cronache ravennati.
Per capirne di più su questa mega opera, per cui si potrebbe dire che “ogni strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”, leggere l’istruttiva storia raccontata da Giuseppe Salvaggiuolo sul quotidiano la Stampa di domenica 22 marzo. Ecco una sintesi.
Il mirabolante progetto nato nel 2001 e inserito da Berlusconi nel celebre “contratto con gli italiani“ – racconta il giornalista – è ambito dieci anni fa da una cordata «delle coop rosse guidata da Lino Brentan del Pd (poi arrestato per corruzione) e sostenuta da una associazione presieduta da Bersani» ma ha la meglio «quella di Vito Bonsignore: ex Dc, Udc, Pdl». L’autostrada che dovrebbe essere realizzata in project financing, sembra avere tutti i permessi in regola però non decolla perché manca il miliardo dello Stato necessario per fare partire i lavori. Nel 2013 con Lupi ministro delle infrastrutture (e Letta premier) il Cipe approva l’opera mettendo a disposizione 1,8 miliardi di fondi pubblici. «Nel frattempo – sottolinea il cronista della Stampa – la Orte-Mestre è diventata bipartisan, anzi tripartisan: centrodestra, Lega, Pd. Tanto che Bonsignore consegna la guida del suo consorzio al dalemiano Antonio Bargone». Peccato che la Corte dei Conti nell’estate del 2014 bocci la delibera del Cipe evidenziando irregolarità negli sgravi fiscali. «Poche settimane dopo il governo Renzi con un dispositivo inserito del decreto Sblocca-Italia prova a sanare l’illegittimità». Fino ad arrivare all’inchiesta dei pm di Firenze e dei carabinieri dei Ros «che arrestano Incalza e indagano Bonsignore e Bargone per avere promesso al superburocrate l’assegnazione della luscrosa direzione lavori al suo sodale Perotti in cambio di “un favorevole iter delle procedure amministrative relative al finanziamento dell’opera». «Al di là dei reati – conclude il giornalista – le intercettazioni documentano la solerzia con cui il trio si adoperava per l’approvazione di norme su misura, tali da rendere l’opera fattibile e profittevole per i privati. E forse lo sarebbe, ma a spese dei contribuenti».