Piuttosto in sordina e praticamente senza particolari annunci social, come va invece molto di moda in questi anni, il 18 marzo è uscito (in collaborazione nientemeno che con la Warner Chappell Music) Ti confido un segreto, nuovo album del compositore e polistrumentista ravennate Christian Ravaglioli. Un nome che potrebbe rischiare di rimanere nell’anonimato, nonostante le collaborazioni illustri del passato (ha scritto musica per il cinema, la Rai e il teatro – anche con Alessandro Bergonzoni –, suonato con e per John De Leo, Jovanotti, Vinicio Capossela, Marc Ribot e Trilok Gurtu) e un altro lavoro dall’evidente respiro internazionale. Un album che arriva quasi quattro anni dopo (senza considerare l’omaggio al liscio romagnolo dell’anno scorso de Il respiro della mia gente), un gioiellino di cui avevamo già parlato su queste pagine, Il giovane valzer. La disomogeneità di allora, però, oggi si risolve in un album più stringato (34 minuti in tutto) e probabilmente riuscito rispetto al precedente. A questo giro Ravaglioli, pur non cantando (a parte l’originale, inquietante e allo stesso tempo divertente “Claustrofobic song”), si concentra più sulla forma canzone (a partire dalla dichiarazione d’intenti del pezzo di apertura con Sarah Jane Morris alla voce), alternando equamente “song” a pezzi più brevi interamente strumentali (sei su dodici). I rimandi vanno da Yann Tiersen alla neoclassica, dal jazz ai Sacri Cuori (tra i tanti ospiti che arricchiscono il lavoro) fino alle atmosfere desertiche dell’Arizona (ci sono anche membri dei Giant Sand e i fiati dei Calexico, senza contare che un pezzo è pure registrato da Craig Schumacher nel suo studio di Tucson). A rendere il disco ancora più internazionale poi le voci, oltre che della Morris, di Marianne Dissard, Carla Lippis e Dan Stuart dei Green on Red (in uno dei pezzi migliori del lotto). Il tutto sotto la supervisione di Ravaglioli che suona (bene) di tutto (andando a memoria almeno piano, synth, organi, clarinetti, oboe, sax, fisarmonica, corno inglese) ma soprattutto arrangia con gusto sopraffino, rendendo interessanti anche ballate forse fin troppo tradizionali.
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