Non amo la montagna e non sento più il fascino che la neve sembrava portare quando ero bambino. Eppure “La curva dell’oblio” di Gian Andrea Cerone (Guanda Noir) mi ha modificato, almeno un po’, quest’atteggiamento un po’ manicheo. Chi legge queste pagine ha già avuto, come dire, una spinta alla lettura dei romanzi di Cerone; l’ha data Federica Angelini nella sua “Nota del lettore” del 4 giugno 2023. Oggi siamo al quarto episodio della saga con protagonista il commissario Mario Mandelli e la sua squadra dell’Unità di analisi del crimine violento, con l’amico, e collega, ispettore Antonio Casalegno.
Le trame sono due: la prima, che si snoda in una Milano fredda e cupa, post natalizia, si apre con il ritrovamento di un cadavere con addosso una maschera da medico della peste e la foto di una rarissima “rosa bianca di Trieste”. La seconda porta in Val di Fassa, per un caso mai chiuso, cui invece si deve mettere la parola fine perché il padre della vittima di dodici anni prima, nobile e potente, sta per spegnersi dopo una lunga malattia ed esige di sapere la verità. Così Mandelli e Casalegno devono lasciare l’indagine sul possibile serial killer “della rosa” e spostarsi sulle Alpi, dove vengono affiancati dal collega trentino Alexander Thun. Gli intrecci e i nodi thriller sono stretti a dovere e la loro soluzione è un regalo per il lettore; a conferma di quanto sia bravo Gian Andrea Cerone. I personaggi sono descritti con la massima cura, con un grande lavoro di analisi psicologica, così che possano rispondere in modo coerente e credibile a ogni ostacolo, pericolo, colpo di scema.
Poi, in entrambi i casi, la chiave di lettura e nel titolo, in quell’oblio che l’autore richiama citando in esergo Thomas De Quincey: «Sono sicuro che non esista l’oblio totale; le tracce, una volta impresse nella memoria, sono incancellabili». Non a caso fra i moventi più forti di un omicidio c’è, da sempre, la vendetta. Ma è l’aria rarefatta delle montagne, la luce accecante che la neve riflette, i silenzi interrotti dal passare di un camoscio, che ridanno equilibrio alla violenza e al dolore che ha portato al “vecchio” delitto. E qui la mia diffidenza per le altitudini innevate ha scricchiolato. Cerone fa “sentire” la bellezza di quei luoghi e del sole che fa cambiare colore alle cime. Il fascino, insomma; identico a quello del romanzo. Leggerò quindi con piacere altri romanzi di Cerone; però… continuo a preferire il mare.



