Terza di copertina, bandella: «Un esordio nel giallo folgorante». Sotto, in un tondo, il volto con un’espressione da sfottò dell’autore, Andrea Pennacchi. L’attore, drammaturgo e regista veneto è conosciuto per i monologhi nel programma “Propaganda Live” nel ruolo del Pojana. Ma è anche un ottimo, e romantico, vice ispettore di polizia nella serie Petra, ispirata ai romanzi di Alicia Giménez-Bartlett. Ma il suo Se la rosa non avesse il suo nome (collana Lucciole di Marsilio) è un esordio ma non nel giallo. È un romanzo d’avventura e mistero (può ricordare le trame di Marcello Simoni), con una grande ambientazione storica, nella quale si muovono personaggi reali e figure immaginarie, scritto con grande ironia, e un costante riferimento al teatro di William Shakespeare.
Ed è appunto il “bardo” il protagonista dell’intrigo: nel romanzo diventa quasi sempre Will, con un soldato – Saviolo – che gli fa quasi da guida a Padova che ne storpia di continuo il cognome, con risultati divertenti, come “Skekisper”.
È in Italia per rintracciare, e riportare a casa, un nobile per conto della Corona inglese. Ma in quell’estate bollente del 1587, a Padova appunto, si incontrano Giulietta e Romeo; un giovane pisano che si chiama Galileo; un magus; un giovane studente inglese dalle mille risorse, Marlowe; frati ed ex combattenti nello scontro navale di Lepanto.
Così, fra celebri amori contrastati, risse e ubriacature poderose, capita che Will sia accusato dell’omicidio di Tebaldo, cugino di Giulietta. Il grande drammaturgo inglese non ha ammazzato nessuno, ma ci vorrà del bello e del buono per scoprire la trama intera in cui è intessuta la storia.
L’indagine non è però il filo rosso principale. Come è subito chiaro Andrea Pennacchi, grande conoscitore del Bardo, racconta le vicende che potrebbero/dovrebbero aver ispirato la produzione poetica e teatrale di Will(iam) Shakespeare, partendo dal titolo che parafrasa un passaggio del secondo atto di Romeo e Giulietta: «What’s in a name? That which we call a rose / By any other name would smell as sweet»; che, più o meno, significa: «Cosa c’è in un nome? Quella che chiamiamo rosa / con un altro nome profumerebbe ugualmente dolce». Un romanzo affascinante, che invoglia a (ri)leggere o a rivedere in scena le opere di William Shakespeare; un gioco per appassionati di teatro, con un pizzico di brivido e molte sorprese. E potrebbe non essere la prima avventura di Will Sakesbirre in Italia.