domenica
22 Giugno 2025
Rubrica Letti per voi

Se uniamo giallo e fantascienza

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Mescolare i generi letterari è pericoloso: ognuno ha binari e codici da rispettare, che spesso non riescono a convivere. Giallo e fantascienza però sono riusciti molte volte nell’impresa e viene subito in mente il ciclo dei robot di Asimov, a partire da “Abissi d’acciaio” (1954). Nella declinazione della distopia i titoli si moltiplicano, ad esempio il racconto “The Minority Report” di Philip K. Dick (1956).

Per gli appassionati di queste contaminazioni, vale la pena recuperare un romanzo uscito verso la fine dell’anno scorso, L’ultimo omicidio alla fine del mondo di Stuart Turton (Neri Pozza, traduzione di Christian Pavone). La popolazione mondiale è stata sterminata da una nebbia misteriosa, che ricorda vagamente “La nube purpurea” di Matthew P. Shiel, anticipatore della letteratura apocalittica. La vita è rimasta solo in un’isola senza nome, grazie al lavoro di alcuni scienziati, i Savi, che hanno creato una barriera capace di fermare il dilagare della nebbia mortale. Con loro vivono in perfetta armonia 122 sopravvissuti che, di fronte a qualsiasi difficoltà, possono chiedere consiglio a Bia, un’entità che parla nelle loro menti e li ascolta. Lo fa in parte mentendo e in altre omettendo di informarli sul serio. Eppure, una dei Savi, Niema, viene trovata morta; assassinata. E toccherà all’unica donna che non si trova a proprio agio in quella specie di paradiso terrestre, Emory, capire cosa sia successo e chi sia l’assassino. Emory ama il giallo all’inglese e quindi sembra la persona adatta a farlo. Anche perché, come recita il titolo del primo capitolo, mancano solo 107 ore alla fine l’umanità, se non si scopre chi ha commesso il delitto.

La storia ha gli ingredienti per tenere il lettore attaccato alle pagine: i personaggi hanno caratteristiche ben definite; il ventaglio dei sentimenti è completo, dall’amore alla voglia di vendetta; le sorprese arrivano al momento giusto. E, davvero, niente è mai come sembra. Insomma, i parametri dei due generi letterari sono rispettati in pieno. Finale compreso.

Stuart Turton ha una scrittura quasi torrenziale, chiara e incisiva; ampie sezioni del romanzo sono in prima persona: è Bia a raccontare e a parlare con i protagonisti di ogni scena. Un lavoro di costruzione linguista di grande stile, valorizzato dalla traduzione (il precedente “Le sette morti di Evelyn Hardcastle”, omaggio ad Agatha Christie, era più faticoso da leggere). Quindi, buona lettura.

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