Siamo nel 1932, a Glasgow, Scozia. Dalle acque del fiume viene ripescato un corpo. È di Charles Geddes, marito della figlia di un ricco armatore, Lockhart, per cui Jimmy Dreghorn, oggi sergente e primo cattolico della polizia, aveva lavorato da giovane, quando era pugile e Lockhart era stato il suo “sponsor”, prima della missione a Shangai. Rory, l’erede di Lockart, era stato il suo comandante durante la prima guerra mondiale. Non solo, con la giovane Isla, sorella di Rory, Jimmy aveva avuto una breve relazione segreta. Nessuno si meraviglia troppo quindi quando la famiglia Lockhart chiede che sia proprio Jimmy a indagare sul delitto. Da qui prende il via un noir appassionante e coinvolgente, dai bei dialoghi veloci e brillanti, punte di sarcasmo e ironia, un velo di disillusione in un clima da grande depressione post prima guerra mondiale che permea tutto il romanzo.
Ecco in poche parole il nucleo narrativo di Sull’orlo del baratro di Robbie Morrison, pubblicato da Fazi qualche mese fa nella traduzione di Sabina Terziani. Si tratta di un magnifico affresco storico che mescola atmosfere degne della fortunata serie Peaky Blinders a pagine che sembrano più invece il migliore Downton Abbey, quando mette a confronto le diverse classi sociali e quando racconta la Grande Guerra e di ciò che ne è seguito in Europa. Parte del romanzo è infatti ambientato nel 1914, flashback che illuminano la giovinezza del protagonista. Un personaggio affascinante, dal passato tormentato, che ha scelto di stare dalla parte giusta in una polizia che non disdegna le maniere forti. Quella che racconta è una Glasgow attraversata da temi sociali che toccano l’infanzia, gli orfanotrofi, l’incesto, Morrison entra nelle case e nella vita quotidiana di quelle famiglie dopo accurate ricerche storiche, con disincanto ma senza pregiudizio, né atteggiamenti moralistici.
L’ambientazione storica e alcuni stilemi del genere potrebbero ricordare la trilogia berlinese di Philip Kerr, che però qui è arricchita di una capacità di indagine sociale e attenzione agli ultimi degna di McIlvanney, forse il più grande scrittore di genere scozzese. Non ci sono cartoline dalle Highland, né cornamuse, scordatevi il folklore. Senza forse proporre nulla di realmente nuovo, l’autore costruisce un mondo in cui è facile rimanere invischiati, dal sapore di hard boiled, con una trama in cui tutti i diversi fili trovano il proprio intreccio in un finale credibile. Il libro è uscito a giugno, ma per qualche ragione a me sembra perfetto per questa stagione fredda e cupa, così come è la Glasgow che ci racconta.



