Nuntio vobis gaudium magnum! Forse si esagera, però è con grande gioia che si apprende del via ai lavori di ristrutturazione del teatro Rossini di Lugo. Sì, quello ristrutturato in pieno secondo mandato Ranalli e sommerso dall’alluvione del 2023. Finalmente si è riusciti a trovare la congiunzione astrale giusta grazie alla quale la volontà, i soldi e le persone deputate si sono trovate contemporaneamente insieme nello stesso periodo storico. Sicuramente la volontà di recuperare il teatro non è mai mancata, testimone ne è stato nel corso di questi due anni l’impegno costante del ormai ex direttore del teatro Giovanni Barberini. I soldi e le persone, forse si sono palesati in maniera altalenante. I primi, come si legge dal comunicato stampa rilasciato il 5 settembre scorso dalla Fondazione Teatro Rossini, sono stati raccolti grazie a donazioni private, mentre per i secondi ci sono stati alcuni avvicendamenti che non hanno giovato alla celerità delle operazioni.
La sindaca attuale, Elena Zannoni, si augura di «arrivare alla riapertura senza ulteriori intoppi», mentre l’assessore alla cultura Gianmarco Rossato entra più nel merito non nascondendo «alcune criticità preesistenti all’alluvione» che, evidentemente, il restauro precedente aveva solo tamponato e non definitivamente risolto. Il nuovo direttore, Gianni Parmiani, invece pone l’accento sulla riapertura del teatro che ha come obiettivo di ospitare nuovamente al suo interno gli spettacoli nel «2026 [anno] che coincide con il quarantennale della riapertura del Rossini dopo la storica ristrutturazione» del 1986. Prosegue poi aggiungendo che il traguardo sarebbe «quello di costruire una stagione teatrale per il 2026/27» cui si spera venga aggiunta anche quella musicale, storicamente meno frequentata dal pubblico lughese, ma in grado di proporre spettacoli di notevole spessore.
Chi più chi meno, ognuno ha vissuto i giorni dell’alluvione come un momento di grande sconfitta contro la natura che, e dobbiamo imparare questa lezione alla svelta, è sempre più forte di noi. Le case, i negozi, tutto era fango. In quel fango le braccia non sono mancate mai, pronte a spalare, pulire, sgombrare. Era l’umanità che usciva dalle prigioni dell’ego che nutriamo quotidianamente, la stessa umanità che viene costruita in luoghi come i teatri. La fatica di togliere le assi da una buca distrutta o quella di spostare file di seggiolini marroni sarà nulla se i nostri figli potranno di nuovo utilizzare tali luoghi per crescere come esseri umani.