Partirei con una notizia storica di sicuro interesse: pochi sanno che esiste un mistero nella vita di Alessandro Manzoni. Un giorno, durante la stesura dei suoi Pomessi sposi, uscì di casa e ritornò a notte fonda. Ma non volle mai dire dov’era stato. Che roba, eh? Ma veniamo a noi. Di fronte al vino di oggi non bisognerebbe far altro che prostrarsi e intonare salmi di gaudio, non fosse che la mia voce, in queste situazioni, sembra il canto funebre di un tacchino.
Lo Zibibbo secco “Orange” 2022 di Abbazia San Giorgio è ontologicamente una meraviglia del creato, non è aperto all’interpretazione, è impermeabile all’interpretazione. L’Orange si erge al di sopra della nube tossica dell’interpretazione come un magnifico falco. Dentro ci troviamo tutti gli elementi dell’isola di Pantelleria: sole, vento, sale, roccia, felicemente alleati in un vino ormai diventato icona della Sicilia più vera. Uno dice Zibibbo e pensa passito, e invece no, ecco la prova vivente che questo antico vigneto ad alberello (proveniente dalla contrada Khamma) può, nelle mani giuste (quelle di Battista Belvisi, tra l’altro nome bellissimo, vien da dire), essere qualsiasi cosa.
La macerazione di 15 giorni sulle bucce ce lo presenta in una splendida veste arancio torbata, ma è poi il naso a trionfare come Eddy Merckx alla Liegi-Bastogne-Liegi (il suo segreto era rimanere direttamente a Liegi), con albicocca, agrumi, frutta secca e miele, dolcezze che ingaggiano una danza col corpo del vino, vibrante e dinamico e che coinvolge tutta la bocca. Io, da persona semplice, in compagnia dell’Orange sono felice.