“Up”, capolavoro per sbaglio

Rem UpR.E.M. – Up (Warner Bros, 1998)

La fine degli anni ‘90 nel pop-rock fu segnata da molti gruppi che di pop-rock non volevano più sentir parlare. Pensate al 1997, Ok Computer e l’omonimo dei Blur, dischi interessati a tutto tranne che mandare in classifica un singolo. I gruppi, anche quelli grossi, erano influenzati dalla IDM, dal post-rock, dal trip hop: le canzoni si andavano complicando, e le chitarre rimanevano spesso dentro la custodia.

È una fase che ci ha dato dischi di qualità molto diversa, capolavori e schifezze inascoltabili. Il trionfo ideologico e commerciale fu dei Radiohead, che nel 2000 pubblicarono Kid A (grossomodo: i Boards Of Canada remixati per il pubblico del pop). Il mio disco preferito esce nell’autunno del ’98, è un disco molto grosso, ai tempi piuttosto controverso, di cui la scorsa settimana è uscita una versione deluxe celebrativa (e, va detto, totalmente inutile rispetto all’album originale).

La storia: nell’autunno del ’97 i R.E.M. stanno per entrare in studio, con diversi pezzi pronti, per registrare il seguito di New Adventures In Hi-Fi. Pochi giorni prima di iniziare a registrare, però, il batterista Bill Berry riunisce la band per comunicare il suo abbandono. Per quasi tutti è un fulmine a ciel sereno. È lo stesso Berry a porre una condizione: lo faccio se trovate il modo di continuare a suonare. I R.E.M. danno la loro benedizione e provano a rimettersi in piedi. È molto più difficile di quanto pensino: non hanno mai provato con un altro batterista e non riescono più nemmeno a parlarsi; le session vengono rimandate di mesi, ma i membri ci arrivano storditi. La band è sull’orlo dello scioglimento. È il manager Bertis Downs a prendere in mano le cose: riunione di emergenza, mettiamo sul piatto tutti i problemi, ripartiamo da zero e vediamo.

È attraverso questo percorso che i R.E.M. riescono ad uscire, in qualche modo, dal tunnel più buio della loro carriera. La musica prende forma lentamente, con un paio di sessionmen e qualche trucco per limitare la mancanza del loro batterista storico – drum machine, elettronica, tastiere, pezzi acustici. Up, l’album che esce fuori, sembra quasi il disco di un altro gruppo. Ci sono dentro Beach Boys, Leonard Cohen, Kraftwerk, certi Talk Talk e molto altro. Sullo sfondo, piccoli piccoli, ci sono anche R.E.M. per come li conosciamo. Quel tanto che basta per rendere Up uno dei loro capolavori.

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