I dischi dell’anno, seconda parte, con artisti emergenti

Sophie

Sophie

Proseguiamo a scorrere la lista degli album più importanti di questo 2018 (chi non ha letto la prima puntata può recuperarla qui), un anno non certo indimenticabile dal punto di vista musicale, ma che ha il merito di aver messo in luce personaggi emergenti o comunque non così spesso sotto i riflettori, spesso di sesso femminile.

Tipo Mitski, cantautrice neppure trentenne con alle spalle già cinque album, l’ultimo dei quali, Be The Cowboy, è finito per esempio al primo posto dell’attesa e sempre molto dibattuta classifica on line di Pitchfork, mettendo d’accordo comunque buona parte della critica internazionale. Metà giapponese e metà americana (ma cittadina in passato di diverse altre nazioni, tanto che il tema dell’identità torna spesso nelle sue canzoni) già con il precedente album si era creata un’ottima reputazione nel mondo indie che ora giustamente la celebra per un disco di semplici canzoni (a volte più, altre meno) pop che possono ricordare star come Lorde o St Vincent, ma restano lontane da certa loro magniloquenza, grazie uno stile più asciutto. Probabilmente non un capolavoro come scrive qualcuno, ma uno dei dischi che è piacevole ascoltare e riascoltare di questo 2018.

Restando in ambito pop, ma nel suo versante elettronico, è già un piccolo classico Honey, nuovo album dopo otto anni di attesa della svedese Robyn che si muove tra suoni dance e momenti di malinconia, ricordando ora Kylie Minogue – tanto per dirne una – ora qualche band indietronica, offrendo un’originale versione aggiornata ai giorni nostri della musica degli anni novanta.

Restiamo nell’ambito dell’elettronica e della dance e del pop ma con un disco che li stravolge, mischiandoli e facendoli diventare anche urticanti, qualcosa di davvero sperimentale, notevole per essere l’esordio di un personaggio atteso al varco da alcuni anni. Si chiama Sophie (scozzese di stanza a Los Angeles), nuova paladina del mondo queer, e il suo Oil of Every Pearl’s Un-Insides è probabilmente l’album più inclassificabile dell’anno (e sarebbe un complimento).

Inclassificabile lo è, se lo analizziamo come un disco hip hop quale dovrebbe essere, anche il nuovo album di Earl Sweatshirt, poco più di venti minuti che dovrebbero essere Some rap songs – come da titolo – ma che in realtà sono un libero flusso di parole e suoni senza compromessi, senza hit, ma pieno zeppo di idee.

Restiamo nel mondo black per avvicinare quello che è ormai un classico di questi anni: l’album perfetto della diva r’n’b o neo-soul di turno. Quest’anno tocca alla magnifica Janelle Monáe e al suo Dirty computer, che ha il pregio (tra gli altri) di essere pop senza infastidire, impegnato e leggero allo stesso tempo.

A “sporcare” il tutto, invece, l’ultima segnalazione, che è per gli inglesi Idles e il loro Joy As An Act Of Resistance, monumentale album di sporco punk-rock che per molti è la migliore fotografia dell’Inghilterra dell’era Brexit. Testi a parte, comunque, tanta roba per chi si vuole rituffare nel fantastico mondo delle chitarre…

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