I dischi dell’anno, prima parte, cominciando da tre

Pusha T Daytona

Cover dell’album “Daytona” di Pusha T

Non starò a farvi la solita premessa sull’utilità della classifica di fine anno in tempi di musica liquida, di album-non-album, playlist, uscite virtuali, globalizzazione o, peggio, sui bei tempi in cui i dischi dell’anno li avevamo veramente sulla scrivania, a decine, ed era in fondo tutto più facile.
Fatta invece così la solita premessa, va detto che tuttora la classifica di fine anno è un rito irrinunciabile per chi ascolta musica, un rito a cui non si sottrae nessuno, dal più inutile blog alla più prestigiosa rivista cartacea.
Qui si cercherà – in due puntate – di fare il punto sulle uscite più importanti del 2018, quelle da non perdere per vari motivi, secondo chi scrive, non per forza le migliori visto che in particolare cercherò di evitare i dischi troppo di nicchia: per quelli ci sono pur sempre le riviste musicali, che vi invito caldamente ancora a comprare, almeno in dicembre.

Partiamo da un album chiacchieratissimo in tutto il mondo (in Spagna in particolare, e non ricordo l’ultima volta in cui il resto del mondo in ambito musicale ha parlato della Spagna, già solo per questo va attribuita una nota di merito), quello di una ragazza salita alla ribalta anche agli ultimi Latin Grammy (insieme alla Pausini, tanto per rendere l’idea) grazie al suo tentativo di attualizzare una tradizione secolare. Lei si chiama Rosalìa e il suo disco (El Mal Querer) è stato ribattezzato “flamenco trap” in maniera un po’ ingiusta perché in realtà molto rispettoso del flamenco (da lei studiato per anni in scuole specialistiche), a partire dal modo di cantare che in un primo momento potrà pure un po’ irritare (anche per i tanti effetti con cui viene trattata la voce) ma che rende il disco originale rispetto al resto dell’alternative r&b cui fa comunque riferimento. Sonorità urban e un’indole a tratti perfino sperimentale lo rendono qualcosa di nuovo, nonostante sia così legato al “vecchio”, un risultato finale non così scontato.

Saltando a piè pari dal commerciale all’alternativo ecco un altro chiacchieratissimo disco, in questo caso di un nome intoccabile della scena alt-rock americana, i Low, che hanno spiazzato un po’ tutti facendo quello che in tanti hanno già fatto prima di loro, ossia un disco “sperimentale” dopo 25 anni di acclamata carriera (sono nati nel 1993 come Rosalìa, curiosità) allontanandosi dal loro slowcore chitarristico pur restandone fedeli, usando l’elettronica (già utilizzata in passato ma con obiettivi opposti) per cercare di spezzare la melodia o renderla più inquietante possibile. Il rischio che diventasse un mero esercizio di stile c’era, per fortuna nella realtà Double negative è di fatto invece solo un disco bellissimo.

Ultima segnalazione per questa settimana è legata al mondo hip hop e della musica black in generale, con un album che in realtà ai “nostri tempi” sarebbe stato un Ep, sette pezzi per 21 minuti semplicemente imperdibili, non solo per gli amanti del rap (fate uno sforzo). Sono quelli di Daytona di Pusha T, disco di cui si è parlato tantissimo anche per la produzione di Kanye West e l’aneddoto della copertina, un fotogramma scelto all’ultimo minuto dallo stesso West che avrebbe pagato di tasca sua gli 85.000 dollari della licenza, uno scatto (qui sopra) del bagno disastrato di Whitney Houston nella sua dimora di Atlanta, che è un chiaro segnale delle dipendeze di cui soffriva la pop-star che poi in quello stesso bagno fu trovata morta.
E la copertina è probabilmente la cosa più brutta del disco…

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