Diamanda Galas – Malediction and Prayer (1998)
Chi mi segue saprà quanto ami il periodo natalizio. L’anno scorso gli dedicai Black Metal dei Venom, per quest’anno volevo propinarvi le Litanies Of Satan di Diamanda Galas. Ma ripercorrendo la sua discografia ho pensato che, forse, prima che mi caccino da R&D Cult, riuscirò a parlarvi solo una volta della divina Diamanda, e che forse qualcuno, in qualche remoto paesino paludoso della Romagna, ascolta veramente i miei consigli… E allora perché togliervi la Gioia Nera della Perfezione, ovvero questo Malediction And Prayer?
Diamanda voce e piano dal vivo, non a evocare demoni come nelle Litanie, non a portarci al fondo delle nostre e sue paure con dischi pur incredibili come Vena Cava, Plague Mass o Schrei X, ma a cimentarsi con classici del soul, del blues e del folk. A suo modo, naturalmente.
E quindi ecco che la canzone anti-pena di morte “Iron Lady” diventa un capolavoro blues da lacrime e pelle d’oca (vale da sola l’acquisto, credetemi), “The Thrill Is Gone” di Roy Hawkins si avvicina ai vocalizzi dei pezzi più neri di Diamanda (ad esempio “O Death”), mentre il classico soul “My World Is Empty Without You” trova una nuova, sinistra vita. Con “Abel Et Cain” traspone in musica Baudelaire, per poi riprendere col delta blues di “Death Letter”, e infine ucciderci con il lacerante omaggio a Pasolini di “Supplica A Mia Madre”. In italiano. Siamo solo a metà disco e abbiamo già esaurito la scorta di lacrime. Si torna al blues col Willie Dixon di “Insane Asylum”, proprio lei che ha iniziato la carriera esibendosi col Living Theatre nei manicomi. “Si La Muerte” è un originale della Galas, che sottolinea la sua capacità di giocare con le nostre emozioni, tenendoci perennemente in bilico tra paure ataviche eppure sublimi. “Twenty Five Minutes To Go” pone fine alla mia personale capacità di reggere: un disperato conto alla rovescia verso la morte (l’originale, di Shel Silverstein, 1962, narra degli ultimi minuti di un afroamericano condannato all’impiccagione). Brano ripreso anche da Johnny Cash con piglio più disincantato, diventa qui una macabra via crucis che annichilisce. Con “Keigome Keigome” si va dritti alle radici greche della Galas (i versi sono del poeta Nikos Gatsos), per poi tornare al gospel blues di Thomas Dorsey in una spiritata “I’m Gonna Live The Life”. La chiusura è affidata a una “Gloomy Sunday”, in cui cercherete invano la comfort zone della voce tragica ma calda di Billie Holiday. Vi troverete invece la lucida, glaciale voce della morte. Senza un fronzolo, senza una sola concessione, chessò, un attimo piacione, un passo verso il pubblico… Niente. Sempre a nervi tesi a mettere alla prova la purezza della nostra anima: ché solo chi ha animo puro può scendere negli inferi e tornarne vivo e, magari, rigenerato.
Ciò che rende intoccabile Diamanda è la sua tecnica. Può piacere o meno, sicuramente non pacifica (e meno male), ma chiunque noterà il controllo assoluto della tecnica vocale (estensione disumana, capacità degne di cantanti liriche di alto livello) e anche di quella pianistica (anche questa mai accondiscendente, eppure limpida).
Già dal titolo, Malediction And Prayer, si spiega l’universo di Diamanda, perennemente in bilico tra scomunica e spiritualità. Averne, di eretiche così.