Gli anni più belli (di Gabriele Muccino, 2020)
Il film racconta la storia dell’amicizia di quattro ragazzi nell’arco di quarant’anni, dall’adolescenza fino al presente, che li vede ultracinquantenni. E la trama finisce qui. Se vi è venuto in mente C’eravamo tanto amati non preoccupatevi, siete assolutamente dalla parte della ragione, perché Muccino non ha nascosto mai l’idea di volersi ispirare a una storia italiana di amicizia che percorra il tempo.
Ma i 46 anni di differenza tra i due film ci suggeriscono che, pur considerando immortale l’opera di Ettore Scola (tra i miei cinque film italiani preferiti di sempre), ripercorrere un periodo storico completamente diverso possa dare un’identità al film precisa e indipendente.
Muccino parla, fin da L’ultimo bacio, della generazione di coloro che sono nati a cavallo tra i sessanta e i settanta, tenendo un po’ largo l’intervallo perché un’intera generazione possa riconoscersi nelle sue storie, senza rinnegare assolutamente sia il suo credo cinematografico, sia la psicologia dei suoi personaggi.
In questo film c’è tutto il cinema di Muccino, dai dialoghi ai movimenti di camera, passando per situazioni e sottotesti che sono marchi di fabbrica della sua cifra stilistica; il suo è un cinema di pancia più che di testa, istintivo, in qualche modo piacione, e soprattutto popolare.
Il regista romano è una sorta di Vasco Rossi del cinema, che colpisce il cuore della gente, lasciando freddi i critici, che difficilmente possono riconoscersi nelle gesta dei suoi protagonisti, così lontani dai fin troppo cerebrali salottini radical chic. Ma a testimoniare che il regista voli alto, ci pensa un cast perfettamente rappresentativo del cinema di oggi, dall’onnipresente Pierfrancesco Favino fino al poliedrico Claudio Santamaria, passando per un delizioso e tenero Kim Rossi Stuart e per una tenerissima e deliziosa Micaela Ramazzotti. Menzione speciale tra i non protagonisti per la sorprendentemente “mucciniana” Emma Marrone.
La storia è una grande protagonista del film, che accompagna il passare degli anni e delle situazioni, mentre la politica pur restando a lungo sullo sfondo si prenderà ironicamente gioco di uno dei personaggi.
Non è un film perfetto ed esente da critiche, soprattutto pensando a come risolve frettolosamente certe situazioni affettive (il film dura due ore e un quarto, altrimenti non sarebbe finito più), all’eccesso di buonismo e al dichiarato e ristretto target di pubblico intorno ai cinquant’anni.
Concludendo, film promosso: dimentichiamoci i capolavori del cinema e gustiamoci una storia piacevole, divertente, amara, commovente e piena di elementi che fanno pensare che quei quattro ragazzi dentro lo schermo possano aver accompagnato anche le nostre vite.