domenica
15 Giugno 2025

Captain Fantastic, intelligente e ruffiano: conquisterà cuori e menti

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Captain Fantastic (di Matt Ross, 2016). Ben ha cresciuto i suoi sei figli in una foresta lontano dalla civiltà, e li ha educati sia alla sopravvivenza che soprattutto a formazione culturale su storia, politica e società, tanto che al posto del Natale celebrano il compleanno di Noam Chomsky. Alla morte della madre, la famiglia decide di partecipare al funerale e, di conseguenza, di gettarsi in una società che non conoscono e di cui hanno timore e distacco. Presentato con successo al Sundance, premiato per la miglior regia a Cannes, Capitain Fantastic è un film bizzarro, divertente, intelligente ed estremamente ruffiano, destinato a conquistare i cuori e le menti del pubblico italiano, con occhio di riguardo al radical chic che si riconoscerà pienamente nella poetica del film. Diretto dal quasi esordiente Matt Ross e interpretato da un bravissimo Viggo Mortensen, il film parte presentando questa strana famiglia per poi tuffarsi nel cuore della sua narrazione nel classico e sempre divertente incontro/scontro tra culture, contestualizzando con abilità alcune classiche battute del genere, come il confondere l’azienda Nike con la Dea greca. Lo fa con garbo e intelligenza, alternando alla verve comica molti spunti di riflessione sul nostro mondo contemporaneo. Dopo il giro di boa, però, il film vuole continuare a piacere per forza, e si incanala troppo perfettamente nei binari della commedia di formazione, diventando un po’ scontato e convenzionale, e perdendo un po’ il cronometro su tempi e ritmi. Di impatto sicuro tutto l’impianto finale, a partire da una bellissima Sweet Child o’Mine in versione funebre, fino alla conclusione vera e propria della vicenda, che fa apparire il film come un percorso non solo fisico ma anche interiore. Film consigliatissimo, anche se molto molto più curato nel suo aspetto e impatto, che nel contenuto. Visto in un’ottica di feste e di film di consumo, va benissimo.
La donna che canta (di Dennis Villeneuve, 2010). Correva l’anno 2010 e in una sezione molto secondaria del festival veneziano, veniva presentata quest’opera non prima di un regista che da lì a pochi anni sarebbe diventato uno dei più grandi del suo tempo, quel Dennis Villeneuve, che nel 2017 si sottoporrà alla sua prova più importante, chiamata Blade Runner 2. La donna che canta è un dramma che vede due fratelli canadesi alle prese col testamento della defunta madre libanese, che chiede loro di rintracciare e consegnare una busta al padre da loro creduto morto, e al fratello di cui ignoravano l’esistenza. Comincia un viaggio la cui narrazione spesso si alterna alla storia della madre, una donna incredibile che ha fatto e subito cose incredibili, in uno scenario di guerra e lotta continua. Dopo un inizio un po’ stentato, il film nelle sue due ore piene ti cattura come pochi altri in questi anni hanno fatto, grazie alla mano sicura del regista e al magnetismo delle due attrici. La donna che canta racconta da una parte la dolorosa storia dei paesi martoriati da conflitti religiosi, dall’altra ritrae una donna coraggiosa e straordinaria, ed è costruito quasi come un thriller, i cui colpi di scena si riveleranno al limite dell’inaccettabile. Non ultimo, anche il titolo italiano che non ha a che fare con l’originale Incendies (“tu incendi”, forse) è particolarmente azzeccato e guardando il film scoprirete perché. Un capolavoro, come raramente si vedono oggi, un canto di libertà e di umanità/disumanità impossibile da non amare, una perla da proiettare ovunque, diffondere e custodire con cura nel proprio cuore. Il film è edito e facilmente rintracciabile, ma, detto tra noi… me l’ero perso.

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