La produzione di thriller nordeuropei è talmente ampia che dobbiamo tutti stare al passo. Due miniserie, entrambe composte da 6 episodi e con un mistero
Glaskupan – La cupola di vetro
Noir svedese creato dalla celeberrima scrittrice Camilla Läckberg, che vede al centro la giovane criminologa Lejla che rientra da New York, dove vive e lavora, per il funerale della madre adottiva in un villaggio piccolo e freddo. La brutta notizia è che c’è un criminale che rapisce bambini, proprio come una ventina d’anni prima toccò a Lejla che fu rinchiusa in una cupola di vetro. Proprio questo trauma la spingerà sia a collaborare con la polizia nelle ricerche, sia a confrontarsi con il suo passato traumatico, cercando una volta per tutte una via d’uscita. La serie si muove su una classica struttura narrativa nordica, con toni e clima freddi per quello che ormai viene definito lo “scandi-noir”, anche se in questo caso la narrazione è accessibile a un pubblico ampio. Narrazione psicologica, e un buon uso di flashback vengono scanditi con un ritmo lento all’inizio e con poca suspense, che però sfocia in un colpo di scena inaspettato che ci permette di riguardare tutta la vicenda con un occhio diverso e che sicuramente rimette perfettamente al proprio posto tutti i tasselli abilmente mescolati durante lo svolgimento della storia. Al centro del cast troviamo la sconosciuta Léonie Vincent, bravissima e sulla quale fortunatamente la regia svedese non indugia a livello sentimentale, e neanche sulla sua bellezza, lasciando giustamente al centro la vicenda e la recitazione.
Reservatet – La riserva
Ci trasferiamo in Danimarca, e in una bolla di persone ricche con case bellissime e domestiche filippine assunte grazie a un programma governativo di ragazza alla pari. Una di loro, al servizio di una famiglia che la storia presenta subito come ben poco simpatica, sparisce nel nulla. La struttura della serie è quella di un film di tre ore diviso in episodi di mezz’ora, che ben si adegua ai formati che vanno per la maggiore, e vuole pian piano immergerci all’interno delle due famiglie protagoniste attraverso la figura di Cecile, l’unica persona che mostra segni di lucida umanità. Il ritratto è brutale sia nei confronti dei padri che delle madri (anche se come scritto, Cecile “si salva”), senza escludere neanche i figli, vittime e carnefici di famiglie che hanno altri valori in cui credere. Ben diretto da Per Fly (riguardate, se potete, il suo film L’eredità), ben narrato e ritmo ben orchestrato che sa gestire bene i colpi di scena finali, non particolarmente imprevedibili, ma intriganti e credibili. Il giudizio è comune per entrambi: nessun “wow”, ma due visioni casalinghe non particolarmente originali ma che si seguono volentieri.