sabato
25 Ottobre 2025

“Green Book”, lineare, scontato ma non banale e con un magnifico Viggo Mortensen

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Green BookGreen Book (di Peter Farrelly, 2018)
La storia vera dell’incontro a New York tra il celebre pianista nero Don Shirley e il buttafuori e all’occorrenza autista italo-americano Tony Vallelonga, che accompagnerà l’artista in un tour negli stati americani più razzisti, negli ultimi due mesi del 1962, due anni prima delle leggi per i diritti civili negli Stati Uniti.
L’iniziale distanza tra i due si trasformerà presto in una profonda amicizia.

Green Book è il primo film “solista” di uno dei due fratelli Farrelly, che tanto hanno fatto ridere il mondo (tranne me) grazie alle commedie demenziali Tutti pazzi per Mary, Scemo & più scemo, Io, me & Irene e altri titoli simili, ed è piaciuto in tutto il mondo.
Il film è candidato all’Oscar per premi principali quali miglior film, attore, attore (l’altro), sceneggiatura e montaggio, dopo aver già vinto vari premi come il Golden Globe come miglior film e come miglior attore non protagonista per Mahershala Ali, che all’Oscar è giustamente candidato come protagonista; chiudiamo le ottime referenze con due premi del pubblico pesanti quali Sundance e Toronto.

Green Book è un film hollywoodiano al 100%, ben fatto, ben girato e ancor meglio recitato dai due protagonisti, scritto per piacere commuovere, carico di furbizie narrative e di un “vogliamoci bene” (non voglio usare “buonismo” perché la politica italiana sta abusando del termine) che neanche un film girato a quattro mani da Veltroni e Spielberg arriverebbe a tanto.
Però questo furbissimo film non può neanche essere liquidato ed etichettato frettolosamente, perché il 1962 somiglia tanto al 2019 e il tema del razzismo e della paura sono purtroppo attuali, dove il pregiudizio e il rimescolamento delle regole (è il musicista nero a essere ricco) colpiscono sempre come fosse la prima volta: i buoni sentimenti del film sono anche sentimenti buoni e da diffondere.

Ciò però che eleva il film da una normale e forse risicata sufficienza, è la performance di Viggo Mortensen, che prende come esempio il De Niro dei tempi e dei film migliori, e modula un Tony Vallelonga quasi memorabile, ignorante ma non razzista, e neanche prevenuto per ogni sorta di situazione; un uomo a cui il pugno scappa spesso, ma che ha l’orecchio attento a ogni tipo di situazione e musica.
È Mortensen che eleva il film a piena sufficienza, nonostante le due ore e dieci con molte scene ripetitive, molte furbizie come per esempio la scena dell’omosessualità girata come aver buttato un sassolino e nascosto la mano, e tante scene prevedibili. Si ride, si osserva, si riflette e ci si commuove un po’, perché Farrelly, cambiando registro rispetto alla sua filmografia, gli ingredienti li sa dosare bene.

Lineare, scontato ma non banale, estremamente natalizio, Green Book è un film che si guarda e si deve far guardare alle nuove generazioni, magari vengono anche catturati dalla straordinaria musica che si sente; un film che al di là dei suoi due attori protagonisti (anche Mahershala Ali è enorme) non fa particolari deviazioni dalla routine dei tarallucci e vino. In sala, e in odor di premio a un attore.

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