lunedì
16 Giugno 2025

Il nuovo Salvatores fantasy resta in bilico…

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Il ragazzo invisibile (di Gabriele Salvatores, 2014)
La trama del film, in breve, vede un ragazzino schivo e spesso oggetto di bullismo, ritrovarsi il potere dell’invisibilità e successivamente al centro di un intrigo che cercherà di risolvere grazie anche a questo suo potere. Salvatores continua un percorso di sperimentazione di generi e lo fa mettendo al centro quella che negli ultimi anni pare essere diventata la sua tematica preferita: l’adolescenza. Già nei bei film tratti dai romanzi di Ammaniti, il regista metteva un ragazzino al centro della vicenda dimostrando abilità e sensibilità che qui conferma in pieno, perchè i giovani sono tratteggiati molto bene, meglio degli adulti (Golino, Bentivoglio, tanto per cambiare) piuttosto stereotipati. Sceglie inoltre una bella ambientazione, la città di Trieste. Da queste basi decide di portare sullo schermo, con l’aiuto in fase di sceneggiatura degli autori del libro (tra cui il bravo ravennate Alessandro Fabbri), un romanzo fantasy. Solo con il controverso ma interessante Nirvana il regista aveva toccato temi fantascientifici ma qui i protagonisti sono gli adolescenti, quindi il terreno è simile a quello dei Goonies, del recente e ottimo Kick-Ass, e soprattutto del meraviglioso ed erroneamente dimenticato horror svedese Lasciami entrare. L’uscita natalizia lascia giustamente presupporre che si tratti di un film per famiglie, ma quello che dopo una visione non risulta ancora chiaro è invece proprio quale sia l’esatto target per il film. I bambini no, gli adolescenti si annoierebbero, i ragazzi lo snobberebbero e gli adulti direbbero che è un film per ragazzi. Questo perchè nel film vivono, neanche in maniera così spiacevole, alcuni contrasti, tra l’ottima caratterizzazione dei personaggi, il trito contesto sociale, il divertente fantasy che giunge senza bussare, intrecci storico-politici un po’ forzati e l’avventuretta in stile Goonies già vista molte altre volte. Il giudizio finale resta in bilico e spetta a voi spettatori, perchè dipende dalle vostre inclinazioni e da quale ingrediente di questo minestrone verrà esaltato maggiormente col suo sapore. Restano certamente cento minuti godibili e simpatici, in attesa che il nostro stomaco, una volta digerito interamente, ci dica cosa ne pensi.

Il paradiso degli orchi (di Nicolas Bary, 2013)
Il paradiso degli orchi, più che invisibile, è un film passato inosservato. Un caso molto strano, perchè l’omonimo romanzo di Pennac da cui è tratto è un mito assoluto tra le generazioni di ventenni anni 80/90, e il cui successo ha dato origine a ben 5 libri in cui il protagonista è sempre Benjamin Malaussène. Proprio Benjamin è il tutore di una famiglia di fratelli senza padre e con la madre sempre in giro per il mondo, e si mantiene facendo praticamente il capro espiatorio in un grande magazzino dove iniziano ad esserci strani delitti e in cui per uno strano caso del destino si trova sempre in mezzo. È vero che su questa rubrichetta si è sempre rifiutato il connubio libro-film, ma questa volta è inevitabile: si è sempre detto che Pennac sarebbe stato “infilmabile” e il talentuoso Bary ha fatto le sue scelte, riducendo al minimo la componente gialla per puntare dritto sulla famiglia Malaussene. Quello che ne esce non è mal fatto, ma somiglia più al pilot di una serie televisiva, perchè ben introduce i personaggi, ben si destreggia tra loro la macchina da presa e la scenografia. Ma manca un po’… il film.

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