lunedì
16 Giugno 2025

L’irresistibile Jeeg Robot del debuttante che ha pescato il jolly

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Lo chiamavano Jeeg Robot (di Gabriele Mainetti, 2015)
Nella periferia di Roma, Enzo è un ladruncolo che cerca di sopravvivere lavorando per microcriminali che si scoprirà che tanto micro non sono. In un inseguimento viene a contatto con un misterioso materiale radioattivo che gli donerà super poteri di forza e resistenza fisica. Da qui succederanno tante cose: la scoperta dei poteri, l’incontro con la figlia del suo ex capo che lo crede Jeeg Robot e la lenta acquisizione della consapevolezza di essere diventato il super eroe di cui ha bisogno la Roma del film, teatro di numerose violenze, fatte sia di attentati che di lotte tra gruppi criminali. Acclamato al festival di Roma e dal pubblico dopo i primi giorni di programmazione, l’opera prima di Mainetti rappresenta un enorme bagno di originalità nel cinema italiano di oggi. I modelli nostrani non mancano: il regista è appassionato di anime giapponesi (i suoi corti erano dedicati uno a Lupin III, l’altro all’Uomo Tigre), di film di genere italiani modello Milano Calibro 9 (sempre sia lodato), di commedie di genere (basta togliere Jeeg Robot e aggiungere Trinità) e certamente anche del nuovo filone noir e gangster che serie tv come Romanzo Criminale e Gomorra hanno saputo magnificamente interpretare. A differenza dell’Italia, in Usa il genere è vivo e vegeto, in tante forme diverse (la mia preferita è sempre Kick Ass, da recuperare per chi ha amato Jeeg), e nel film si nota anche un’evidente impronta tarantiniana, attraverso numerose scene estremamente violente, assolutamente inadatte a palati sensibili (incredibile che non sia vietato ai minori). E il regista pesca il jolly, perché da una parte gli italiani sono cresciuti a pane e supereroi, dall’altra con pochi mezzi tecnici realizza un film assolutamente irresistibile, perfetto mix degli ingredienti sopra citati.
E anche “l’impiattamento” non lascia a desiderare, perché Jeeg dal punto di vista tecnico è impeccabile e la regia è veramente abile a mascherare gli scarsi mezzi a disposizione, con trovate visive e grande lavoro di montaggio: da questo punto di vista il film ricorda quei geniali parchi di divertimento tutti basati non su macchinari costosi ma su marchingegni tanto artigianali quanto perfetti.
I personaggi non sono da meno, perché accanto al supereroe grasso Santamaria, troviamo il cattivo più divertente, simpatico, fetente e di culto degli ultimi anni: lo Zingaro, giovane boss appassionato di musica italiana anni ottanta e ossessionato da televisione e successo, che diventa immediatamente l’idolo incontrastato degli spettatori e l’incontestabile protagonista del film. Accanto ai protagonisti, l’eroina femminile interpretata da Ilenia Pastorelli ex Grande Fratello che da una parte rimanda esplicitamente al cinema impegnato nostrano coi suoi problemi personali, e dall’altra crea di fatto un immaginario destinato a diventare collettivo.
In ultimo, la musica dello stesso Mainetti è perfettamente integrata nelle azioni dei nostri eroi e regala la tanto agognata cover della sigla di Jeeg Robot nei titoli di coda.
Appello ai produttori: investite su Mainetti, perché ha idee da vendere; senza però esagerare, perché il cinema è pieno di talenti persi tra mainstream e Hollywood.

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