DJANGO UNCHAINED , di Quentin Tarantino (2013)
Siamo lontani dai tempi del Tarantino de Le iene e Pulp Fiction, due opere straordinarie che hanno segnato gli anni 90. Siamo lontani 20 anni. E, forse, per fortuna. Nel senso che un artista non può sempre inseguire i suoi cavalli di battaglia e riproporli all’infinito, e allo sfinimento.
Il buon Quentin, raggiunto il successo, ha deciso di dedicarsi a se stesso, alle sue passioni e alla ricerca dei generi che gli hanno dato l’amore e il talento per il cinema. Un periodo che ha fruttato un capolavoro, Bastardi senza gloria, che ben poco ha da invidiare ai primi successi, e che anzi se fosse stato realizzato prima, tutti considererebbero un caposaldo della filmografia del regista.
Django è un omaggio allo spaghetti western, girato con la solita perfezione dal regista che confeziona quasi tre ore di epopea americana ambientata alle porte della guerra d’indipendenza e locata in quel profondo Sud caratterizzato da schiavismo e razzismo. Dall’omonimo Django di Segio Corbucci del 1966, a cui è soltanto ispirato, il film porta con se il west, la magnifica apertura musicale di Louis Bacalov, il forte messaggio antirazzista e la presenza di Franco Nero, qui in un cameo-omaggio.
Le differenze tra i due film sono molte, a partire dal protagonista, ma ancor più dei suoi maestri italiani, Tarantino (grazie allo straordinario Christopher Waltz) infila qua e là momenti di sana ironia (l’inizio) e ridente sarcasmo (i “cappucci bianchi”). Un western stupendo che fa rivivere un genere da noi un po’ archiviato e che appassiona come non mai i suoi ritrovati spettatori.
La lunghezza non spaventi, se abituati al grande Sergio Leone, si sa che l’epopea non ha mai avuto il dono della sintesi. Per fortuna, aggiungiamo.
QUADROPHENIA, di Franc Roddam (1979)
Leggendone la trama, il film parla di un giovane appartenente al gruppo dei Mods, gruppo antagonista dei Rockers, deluso dalla sua vita, dal gruppo e dalle continue faide tra gang.
Si legge anche che il film è la versione cinematografica dell’omonima opera rock del gruppo The Who. Forse, in queste poche righe, si potrebbe non aver capito nulla. Chi sono i Mods? E anche degli Who si potrebbe non sapere tutto, visto che in Italia si conoscono più che altro per il nome, o per uno dei pezzi peggiori della loro carriera già al capolinea, celebre per essere la sigla di “C.S.I.”.
Come dice Pete Townshend, leader del gruppo, “i Mods sono il rifiuto di tutto quello che c’era prima. Se ne fregano della tv, non vogliono saper nulla delle beghe dei politici o della guerra del Vietnam”. Freddi e distaccati, riconoscibili per l’apparenza, grazie a giacche attillate, pantaloni alla caviglia e scarpe da ginnastica o da coccodrillo, i Mods appaiono nei primi anni ’60 e si estinguono col decennio, ma a fine anni ’70 grazie a questo film tornano di moda. Quadrophenia è un gioco di parole tra “quadrifonia” e “schizofrenia” ed è la seconda opera rock degli Who (targata 1973) dopo Tommy. Townshend scrive l’opera attorno a un personaggio che presenta quattro personalità diverse, ognuno legata a un membro del gruppo e allo sviluppo di un tema. L’opera rock ha un forte impatto emotivo e risulterà presto il disco più importante della band. Il film riprende fedelmente l’opera e mette in scena un ritratto realistico dei Mods di metà anni ’60. Un buon film, al servizio dell’opera, che rivela il talento recitativo di un’altra rockstar, Sting. In dvd e in rassegna (martedì 29 al Cinemacity).