domenica
15 Giugno 2025

Rifare Kubrick è rischioso. E l’Interstellar di Nolan un pacco

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Interstellar (di Christopher Nolan, 2014)
C’era una volta Christopher Nolan, talentuoso e discontinuo regista, grande rivelazione di inizio secolo con i fantastici Following (invisibile, da recuperare) e Memento, e magnifico cantore di Batman con una fantastica trilogia. Questi, sommati al resto della sua cinematografia, hanno posto il regista inglese ai vertici della sua generazione (ha solo 44 anni) e nel cuore della critica. Il problema è che il successo, nonostante le prediche andreottiane, logora chi ce l’ha e se non ti chiami Kubrick (nome che tornerà spesso in gioco nelle prossime righe), Hitchcock (e poi e poi…) o se non muori prima, la carne è debole e si rischia il passo falso. Meno male che la critica spesso si dimostra totalmente priva di obiettività (o più probabilmente di capacità), eleggendo a priori i propri registi della vita (giusto, sono bravi) e rendendoli immuni a ogni possibile fesseria (che invece hanno fatto): il caso di Eastwood, Cameron, Spielberg, Lynch, Cronenberg e dei recenti Mann, Jarmusch, Paul Thomas Anderson, e potremmo fare notte. Leggendo, in rete e sulla carta, un primo giro di pareri su Interstellar, la sensazione è che Nolan sia entrato in questo club. Il film parla di un pianeta al collasso (come altre mille storie), di un padre che ha difficoltà nel suo ruolo di genitore (come altre diecimila storie), interpretato da un Matthew McConaughey nuovo volto del cinema mainstream americano (ricordate Dallas Buyers Club, qua ridimensionato), ma che piace da matti sia perché all’inizio faceva solo commedie banali, sia perché in tv si comporta da vero detective. Una forza interstellare crea un buco nero (o wormhole, ma non staremo qui a disquisire sulla veridicità scientifica) per accedere in pochi anni in una galassia con pianeti abitabili, e il nostro eroe, nonostante le resistenze dei bimbi, parte a salvare il mondo. Da qui il film acquista fascino perché decide di diventare il popcorn remake della seconda parte di 2001 Odissea nello spazio, con tanto di intelligenze artificiali a forma di monolito, e con le stesse sensazioni visive del viaggio kubrickiano. Ma citare o addirittura rifare Kubrick è l’operazione più rischiosa che un regista comune mortale possa mai fare, costruendo sì una discreta parte centrale incentrata sulla scoperta di nuovi mondi, senza abuso di effetti speciali ma abbondando purtroppo in personaggi scontati e banali (Damon e la Hathaway), con tanto di discussioni da family day nell’astronave. Il grave problema di Nolan è il voler dare una spiegazione, anzi una parafrasi al feto di Kubrick, di per sé così chiaro, tanto che il film mostra un’ulteriore ora dedicata a questa idea di nuova civiltà in maniera totalmente inutile e carica di sentimenti talmente buoni, talmente a stelle e strisce, che Spielberg in confronto pare Quentin Tarantino. Le tre ore, invece, non sono quasi mai pesanti e a tratti il film è emozionante, ma è quando scorrono i titoli di coda che qualsiasi emozione lascia il posto a una gran voglia di mangiarsi una bella pizza per dimenticare l’inutile polpettone appena subito. Se si vuole una fantascienza più originale, si recuperino Another Earth o Moon, o se non l’avete visto, il più recente Gravity. A meno che non sentiate già l’atmosfera di Natale, del panettone e… dei pacchi.

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