Le sette vite di Léa (Miniserie 7 ep – 2022)
L’adolescente Léa sta partecipando a un rave party nelle splendide Gole del Verdun, senza farsi mancare nulla in fatto di droghe e alcol. Isolatasi dal gruppo, nei pressi del torrente scopre le ossa di un cadavere, macabro ritrovamento che avrà forti ripercussioni sulla protagonista. Infatti, il giorno dopo la ragazza si sveglia nel 1991 nei panni di un ragazzo, che scoprirà essere, da lì a sette giorni, il cadavere trovato 30 anni dopo. Tornata al presente, Léa il giorno successivo si sveglierà in un altro corpo… e continuerà a scoprire un mondo nel quale lei non esisteva.
Adattamento per conto di Netflix del romanzo Les 7 vies de Léo Belami dello scrittore francese Nataël Trapp, con uno scambio di sessi tra protagonisti, Le sette vite di Léa è una miniserie uscita già due anni fa e passata completamente (e ingiustamente) inosservata. Chi ha visto l’italiano (ma successivo a Léa) Un’estate fa, ha già capito di cosa stiamo parlando: risvegli in altri corpi, viaggi temporali, vicenda vestita da thriller e indagini che prendono corpo proprio grazie ai salti temporali. Al di là di idee non nuove, viste in altri film, ci sono alcuni elementi che caratterizzano in maniera fortemente positiva questa serie: innanzitutto l’ottima ricostruzione della vicenda, del giallo che man mano si infittisce ma avrà una spiegazione molto chiara e plausibile; inoltre è contagiosa l’empatia che la protagonista prova per il ragazzo morto, una persona che non ha conosciuto e forse non conoscerà mai; l’approccio di Léa ai personaggi di contorno, compresi i suoi genitori, figli di un 1991 che gli autori rappresentano in maniera nostalgica, affettuosa e forse un po’ forzata in quanto di sessantottina memoria… ma forse in quella zona della Francia erano davvero così. L’indagine, oltre che mettere a rischio la sua futura esistenza, si trasforma in un viaggio nella memoria della propria famiglia, rendendo questo suo viaggio temporale un percorso di crescita e conoscenza delle proprie radici e della propria famiglia, vista da lei (e dal pubblico) come gente semplice di campagna, ma che, avendo avuto un ruolo centrale nella tragedia, nascondono segreti vecchi trent’anni.
Non possiamo non citare l’ambientazione molto bella e soprattutto un garbo e una delicatezza di forte stampo transalpino, in un racconto che rifiuta il clamore e il colpo a sensazione, per poi regalarci il finale più interessante, tenero e in assoluto tra i più belli della recente storia delle serie televisive. Al netto di qualche trascurabile difetto, Le sette vite di Léa è un gioiellino ingiustamente ignorato, da riscoprire assolutamente in questo periodo di fastidiosa inflazione delle serie televisive.