
Aremorden è una miniserie di 5 episodi, ambientata nella nevosa cittadina di Are, in una zona della Svezia sufficientemente fredda, dove una giovane ragazza svanisce nel nulla. Contestualmente, la poliziotta Hanna si prende un periodo di congedo da Stoccolma, per venire nella cittadina a riposarsi. Non si riposerà. I nordici hanno un concetto tutto loro di suspense e di serialità: fosse stato un prodotto americano verso la fine della prima stagione si sarebbe scoperto il cadavere della ragazza e ad Hanna ci sarebbero volute almeno tre stagioni per scoprire l’assassino. Ma qui siamo in Svezia, il cadavere si scopre subito e alla terza puntata è già finito tutto, tanto che i due episodi successivi presentano già un nuovo caso sempre con Hanna sulle tracce di un (altro) assassino. Poco male, perché in ogni caso il giallo è costruito molto bene e, nonostante un ritmo un po’ spezzato e una conclusione teoricamente frettolosa, la vicenda tiene molto bene la scena. Quel “frettolosa” va in ogni caso spiegato, perché dalle loro parti, quando si prende il colpevole, non parte nessuna di quelle storie parallele in cui si racconta la vita dell’assassino o della famiglia, o di cosa fa il cugino probabilmente spacciatore. Qua una volta preso, si cambia caso. Solo che il secondo è ancora più sbrigativo del primo e sinceramente mostra tutta la sua debolezza. La protagonista, Carla Sehn, è brava e il thriller si lascia guardare, in maniera inaspettatamente spensierata. PS: siamo sempre in Svezia, scordatevi amori, passioni e tradimenti.
Paese che vai (Polonia), montagne e omicidi che trovi, Detective Forst è un’altra miniserie (6 episodi) con omicidi seriali. Lo spettatore deve avere pazienza ed arrivare almeno fino alla fine del secondo episodio, perché dopo una lenta partenza, il thriller decolla e appassiona, grazie a tensione e colpi di scena crescenti. Forst non è un personaggio semplice e lineare, ha un passato oscuro e una grande passione per le donne, ed è poco ligio alle regole di investigazione. Forst fa da ponte a quella che poteva essere una vicenda piatta e lineare, arrivando a un noir torbido e complesso, difficile da decifrare, affascinante da seguire.
Concludiamo con Break, un film del 2019, il più freddo di tutti perché in una località sciistica russa, un gruppo di amici dovrebbero passare la festa di capodanno in un rifugio raggiungibile solo tramite una funivia. Che puntualmente si guasta bloccandosi in un punto alto e lontano, e altrettanto puntualmente fuori c’è una tormenta di neve. Il film ricorda molto l’americano Frozen (2010), con tre sciatori bloccati per più giorni su una seggiovia. La difficoltà non fortifica il gruppo ma li fa arrivare allo scontro totale. Il film è peggiore del suo cugino americano, ma non credo sia possibile non arrivare alla fine. Il giudizio non è positivo, ma la tensione la crea eccome.