All’indomani della conquista della penisola italica Teoderico trovò un territorio estremamente disomogeneo, città in crisi e destrutturate e centri urbani che svolgevano ancora funzioni amministrative. Intraprese pertanto tutta una serie di lavori che interessarono l’assetto di alcune città individuate o come punti strategici e di difesa, in quanto poste sui confini settentrionali del regno, Como, Milano, o, per la loro importanza, come città di fondazione romana, Rimini, oppure perché erette a capoluoghi amministrativi, Pavia, Verona e la stessa Ravenna.
Già sul finire del IV secolo Ravenna non compare negli Opuscula di Ausonio tra le venti città più illustri dell’impero. Si era assistito al degrado di edifici residenziali e a fenomeni di abbandono di interi quartieri. Già sotto Onorio (402-423) questo “fenomeno”, che aveva caratterizzato gran parte della penisola italica, incominciò a diversificarsi: a Ravenna e nel territorio sotto la sua amministrazione si attestò un certo impegno pubblico che probabilmente derivò dalla scelta della città come sede della corte imperiale. Si verificarono notevoli modifiche alla topografia della città, in linea probabilmente con un nuovo progetto di sviluppo urbanistico che mirava a utilizzare aree inedificate e facilmente confiscabili come luoghi di costruzione di edifici imperiali, di carattere pubblico e religioso.
Un’attenzione particolare fu riservata a Ravenna anche da parte di Galla Placidia e di suo figlio Valentiniano III: dalla chiesa di San Giovanni Evangelista, fatta costruire dall’augusta come ex voto, al mausoleo a lei dedicato, che probabilmente una qualche connessione con la famiglia imperiale doveva avercela, dal Palazzo ad Lauretum, sede dell’imperatore, alle costruzioni sia delle mura urbiche, attribuitegli dal protostorico Andrea Agnello, che del circo, espressione dell’evergetismo del sovrano e allo stesso tempo ostentazione del suo potere. Il breve dominio di Odoacre (476-493) non incise di fatto nell’ordinamento delle città italiche, anche se più di una fu danneggiata nel corso della guerra che sostenne contro Teoderico. Per Ravenna, a livello urbanistico, non rimangono tracce significative riferibili al re degli Eruli: le fonti parlano di un Palazzo eretto sul fiume Padenna, fonti più tarde di mura urbiche risarcite o ultimate sul lato orientale verso la fine del V secolo.
Una preziosa testimonianza sulla politica di Teoderico è offerta dagli scritti di Cassiodoro, magister officiorum del re goto; egli riordinò sotto il titolo di Variae le numerose lettere che durante la sua lunga carriera aveva scritto per conto dei sovrani goti. Nelle parole di Cassiodoro si riflette il convincimento che le città erano, per il sovrano, niente di meno che comunità di uomini legati da interessi materiali e spirituali e che quindi erano da conservare, da restaurare e da fortificare proprio perché rappresentavano il “mezzo” per l’esistenza dei loro abitanti.
Teoderico riservò molte attenzioni alla questione della sicurezza delle città promuovendo anche a Ravenna opere di risanamento e manutenzione della cinta muraria.
Essa racchiuse nel suo assetto definitivo di fine V secolo un’area pari a centosessantasei ettari, cinque volte maggiore rispetto a quella ipotizzata per l’età repubblicana. Al suo interno erano comprese vaste aree edificabili destinate a nuovi edifici della corte imperiale: nella zona della duna costiera posta a sud-est si trovavano gli edifici residenziali e di rappresentanza del sovrano, mentre a est un’ampia area fungeva da naturale proseguimento della città verso il mare.
Di sicuro impatto scenografico era il Palazzo imperiale che, dalla lettura incrociata di fonti e scavi, probabilmente si trovava tra porta Wandalaria e la chiesa di San Giovanni Evangelista. In epoca teodericiana raggiunse alti livelli di investimento: fu oggetto di alcune ristrutturazioni e ampliamenti, eseguiti per soddisfare le nuove e accresciute esigenze di corte. Edificato probabilmente in età onoriana (402-423) sui resti di una villa suburbana romana di I-II secolo d.C., si componeva di diverse entità, come il Sacrum Palatium onoriano, tra Sant’Apollinare Nuovo e San Giovanni Evangelista, e il Palatium ad Lauretum di Valentiniano III (419-455), a ridosso della Platea Maior, nei pressi della porta Wandalaria.
Alcune informazioni su come doveva essere organizzata l’area palaziale ci provengono da una serie di scavi e sterri che iniziarono nel 1861 con la scoperta di numerosi pavimenti musivi da parte del conte Serena Monghini, all’epoca proprietario dell’area, e proseguirono nel 1870 a opera del conte Ouvaroff nella parte meridionale del Palazzo, dove probabilmente si trovavano le terme.
Nel 1908-1914 Gherardo Ghirardini, in quegli anni soprintendente alle Antichità per l’Emilia-Romagna, intraprese nel settore sud-est di Sant’Apollinare Nuovo, su un’ampia superficie di quattromila metri quadrati, un nuovo scavo, mettendo il luce una corte rettangolare con portici, ambienti di rappresentanza e di servizio, confinanti a est con il mare e sud con via Alberoni, caratterizzati dall’uso di palafitte in fondazione e laterizi di risulta in alzato.
Tuttavia tale complesso, tradizionalmente identificato con il Palazzo teodericiano (non tutti gli studiosi concordano con tale identificazione), dopo esser stato privato degli apparati musivi pavimentali e di sectilia a motivi geometrici, venne ricoperto senza essere supportato da una pubblicazione adeguata.
A differenza della relazione di scavo preliminare e parziale, rimane una ricca documentazione grafica circa il rinvenimento dei mosaici pavimentali curata da Alessandro Azzaroni, all’epoca disegnatore della Soprintendenza di Ravenna.
In quest’area Teoderico provvide ad abbellimenti, ripavimentazioni e ampliamenti, come quello che interessò l’aula regia absidata destinata alle udienze o a sala di rappresentanza, forse già realizzata, seppur di ridotte dimensioni, da Onorio.
Si preoccupò anche di commissionare nuove costruzioni, come nel caso di una cappella nel peristilio o del triclinium ad mare ubicato a est del Palazzo. In questo ultimo caso potrebbe trattarsi anche di una costruzione onoriana in linea con altre di tale epoca presenti nella maggior parte della città del Mediterraneo durante l’epoca tardoantica.
Pertanto, contrariamente a quanto riportato dall’Anonimo Valesiano che attribuisce al sovrano goto la costruzione del Palazzo dalle fondamenta, Teoderico, così come Valentiniano III prima di lui, provvide a far restaurare il complesso palaziale costruito da Onorio.
La facciata del Palazzo e l’originario ingresso si affacciavano sulla Platea Maior a non molta distanza da Sant’Apollinare Nuovo, verosimilmente in corrispondenza dell’attuale cosiddetto Palazzo di Teoderico (ritenuto erroneamente il palazzo del sovrano goto perlomeno a partire dal XVII secolo e fino ai primi scavi di fine Ottocento), posto tra via Roma e via Alberoni e conosciuto nel IX secolo, quando venne realizzato con materiale di spoliazione del probabile vero complesso palaziale, come Chiesa del Salvatore detta ad Calchi.
La Chalkè, porta di ingresso in bronzo del palazzo imperiale ravennate, riprendeva la denominazione di quella presente a Costantinopoli nel Grande Palazzo, affacciata sull’angolo sud dell’Augustaion, il principale foro della città. Del monumentale ingresso ravennate, ricordato dall’Anonimo Valesiano come costruzione teodericiana e per alcuni studiosi posto sul lato meridionale, non rimane più nulla a eccezione forse della sua ipotetica rappresentazione, seppur altamente simbolica, nel mosaico di Sant’Apollinare Nuovo. Ricordato da Andrea Agnello, il primo ingresso del Palazzo fu indagato archeologicamente negli anni cinquanta del XX secolo.
Grazie agli scavi di don Mario Mazzotti condotti nel 1946 all’interno del cortile dell’Istituto Salesiano si misero nuovamente in luce alcuni ruderi già visti nel 1907 e identificati come resti di strutture palaziali. Nel 1955-1956 Mazzotti effettuò alcuni sondaggi a ridosso della chiesa di San Salvatore, appurando che la struttura tutt’ora visibile pur essendo di epoca inequivocabilmente carolingia poggia su alcune fondazioni di strutture preesistenti che potrebbero essere appartenute al vero palazzo imperiale.
Un secondo cortile o una serie di portici con gallerie soprastanti aperte da finestre, simili a quelli rappresentati nel mosaico di Sant’Apollinare Nuovo, dovevano trovarsi a sud di via Alberoni come ricordato dall’Anonimo Valesiano e come sembrerebbero dimostrare alcuni sondaggi.
I ritrovamenti di pavimenti in mosaico e strutture murarie, in via di Roma, presso l’attuale Istituto Musicale Verdi, e in via Santi Baldini attestano invece altri ambienti del complesso che dovevano estendersi su via Alberoni. Il complesso terminava a nord con lo Scubitum, un edificio occupato dai militari di stanza al Palazzo.
La denominazione degli edifici principali della città di Ravenna anche in epoca teodericiana rispecchierebbe così in parte quella della capitale dell’Impero d’Oriente nel tentativo, da parte anche del sovrano goto, di auto legittimare il proprio potere e allo stesso tempo di uguagliare un modello di capitale difficilmente equiparabile come Costantinopoli.