Le tele stampate e il ritorno dell’hand made

“Have nothing in your houses that do not know to be useful or believe to be beutiful.”

William Morris

 

Nel 1859 William Morris, giovane architetto inglese insofferente, anticonvenzionale e innamorato delle teorie poetiche di John Ruskin, decise di costruirsi una casa di campagna nei dintorni di Londra, nel Kent, e di andarci a vivere con la giovane moglie Jane.  Scelse il luogo, particolare per la sua amenità, per il fatto di trovarsi vicino al cammino medievale del Pellegrinaggio per la Cattedrale di Canterbury e vicino alle rovine dell’Abbazia Lesnes. Lo aiutò l’ amico architetto Philip Webb. Il risultato fu una costruzione solida in stile tardo gotico, totalmente priva di decorazione all’esterno. All’ interno invece Morris e Webb progettarono e costruirono tutto, ad eccezione dei tappeti persiani e delle porcellane di Delft. Alla decorazione degli interni collaborarono i compagni di strada del cenacolo Pre-Raffaellita tra cui Edward Burne Jones e Dante Gabriel Rossetti. Due anni dopo, forti dell’esperienza condivisa, Morris,  Burne-Jones, Rossetti, Webb, Ford Madox Brown, Charles Faulkner e Peter Paul Marshall fondarono nel mese di aprile la “Ditta Morris, Marshall, Faulkner Co.”, “operai d’arte, in pittura, scultura, arredamento e vetrate”, con specializzazione nella produzione di carte da parati e chintz, cui si aggiunsero, a Merton Abbey, nel 1881, una fabbrica di tappeti, e nel 1890 un’officina tipografica, la Kelmscott Press, dalla quale uscirono raffinatissime edizioni stampate a mano. Nella piccola azienda venivano formati come apprendisti, e in seguito assunti, i ragazzini dell’ Industrial Home for Destitute Boys di Euston, a Londra. Era nato l’Arts And Crafts. Morris era convinto che esistesse una relazione strettissima tra arte, lavoro e piacere, e che, per questo, l’artigianato, inteso come téchne e arte manuale e creativa, era ciò che poteva dare il giusto valore agli oggetti e un adeguato piacere al lavoro, lontano dalla dimensione alienante e troppo meccanizzata dell’industria. L’azienda ben presto incontrò difficoltà finanziarie, ma le tappezzerie e le iconografie di Morris, bellissime,  vengono ancora prodotte e sono molto ricercate per la loro qualità. Un’altra cosa che è restata, ed è più che mai contemporanea, è il suo pensiero sull’essere consumatore, sul suo diktat  «non avere nulla in casa che non sia utile oppure bello».  Il suo pensiero si interrogava, già più di un secolo fa, su quanto il consumatore è disposto a pagare il prezzo giusto, l’unico in grado di garantire qualità e durata degli oggetti e dignità a chi li produce, perché solo se c’è un valore etico dietro al lavoro può esserci anche un valore estetico.  Dalla fine dell’ottocento le idee di Morris fecero il giro d’Europa e produssero, mutatis mutandis, molte conseguenze, artistiche e teoriche,  nei settori dell’arte e di quello che sarebbe stato definito in seguito design ovunque. Anche nel nostro territorio, dove la dimensione artigianale del fare, all’inizio del Novecento, produsse oggetti e pratiche di grande qualità, purtroppo spesso accumunate da note localistiche di basso profilo.

Sopra, immagini tratta del “Catalogo Riparto Tissuti impressi a mano”, Sacchificio Ravennate Calegari e Ghigi, Ravenna, 1928 (Archivio Egidio Miserocchi, Ravenna)

A Bologna, con relazioni molto forti nel territorio romagnolo, ci fu la brillante stagione Arts and Crafts di Aemilia Ars, fondata a Bologna nel 1898 sul modello inglese dall’architetto Alfonso Rubbiani e dal Conte Francesco Cavazza. Rubbiani,  amante di Ruskin, del Medioevo e della tutela dei monumenti almeno quanto Morris, aveva fondato la “Gilda di San Francesco”, una comunità di artigiani che aboliva le differenze gerarchiche tra arti minori e maggiori, in grado di proporre un gusto moderno legato però a una tradizione antica.  Aemilia Ars era una società di progettazione e produzione a tutto tondo – dai mobili alla tappezzeria, alle stoffe, ai progetti di restauro e alle decorazioni murali – e aveva anche una sezione femminile “Merletti e Ricami”, diretta da Lina Bianconcini Cavazza e membro della Società Cooperativa Industrie Femminili Italiane.

Nel medesimo periodo, in contemporanea e in relazione con l’esperienza di Aemilia Ars, in Romagna si verificò un recupero di una delle tecniche decorative più genuinamente popolari: la stampa su tela. La stampa su tela si era diffusa, probabilmente intorno al XVI secolo, come una sorta di Biblia Pauperum in grado di raccogliere un corpus iconografico ampissimo ispirato a mosaici ravennati, grottesche, motivi malatestiani, medievali, merletti e ricami reinterpretati, mescolati a reminiscenze magiche e scaramantiche rurali. I tessuti scelti erano perlopiù quelli di lino e canapa, coltivati e trattati dagli uomini, filati e tessuti dalle donne all’interno delle case coloniche; ogni casa aveva una stanza del telaio e spesso un macero per la canapa. Gli stampi erano prismi quadrangolari in legno di pero, più facile da modellare, in cui venivano impresse le decorazioni, stampate attraverso la tecnica xilografica.
Uno dei soggetti più amati era S. Antonio, ma erano presenti anche bestiari medievali, fiori, pigne, cardi, melograni, foglie di acanto, battaglie con i tori (in un mix tra S.Giorgio e il drago e la Caccia al Toro praticata durante il Carnevale a Santarcangelo di Romagna sino al 1928).
Il colore più famoso era quello della stampa a ruggine, fissata con soda caustica o ranno. L’assenza di una documentazione storica approfondita sulle botteghe tintorie le cui conoscenze erano tramandate come una sapienza esoterica, rende ancora difficile stabilire con esattezza il ruolo dei tintori e la gamma di colori usata, oltre al classico e diffusissimo ruggine. In realtà, dai rari reperti ritrovati e dalla ricerca di alcuni stampatori come l’Antica Stamperia Pascucci di Gambettola – tuttora in attività dal 1826, con una produzione che unisce la stampa tradizionale alla collaborazione con artisti come Tonino Guerra, Tinin Mantegazza, Vanni Spazzoli, Gianfranco Zavalloni – Egidio Miserocchi di Ravenna e Fabio Visini di Meldola, è lecito dedurre che molte stampe con cromie diverse fossero realizzate a partire da piante tintorie (robbia e iperico per il rosso, cartamo per rosso e giallo, lentischio per il marrone chiaro, scabiosa per verde marcio), con tecniche e fissaggi ancora da indagare in profondità.
Della fortuna della stampa uno dei promotori fu senz’altro l’eclettico scrittore ed etnografo Aldo Spallicci che, con le sue riviste “Il Plaustro” e “ La  Pié”,  addirittura propose un protocollo rigoroso per la stampa, con diktat sulle iconografie e precetto sull’uso unico del ruggine come colore, per sfuggire alle tentazioni modaiole e liberty del tempo. Prima di lui,  la Contessa Eugenia Rasponi Murat, imprenditrice e femminista colta e cosmopolita, nel castello di famiglia a Santarcangelo di Romagna, aveva cominciato a produrre dal 1905 tele e tessuti stampati come quelli che abbellivano le case rurali  e il dorso dei buoi in campagna, per decorare le tappezzerie e i tessuti dei mobili prodotti nella sua fabbrica. Poco distante, nel Castello di Savignano, anche Luisa, sorella di Eugenia, aveva recuperato il tradizionale ricamo a treccia che, come la stampa su ruggine, decorava le coperte scaramantiche per i buoi e i corredi nuziali dei contadini.  Entrambe avevano aperto dei laboratori e delle scuole femminili dove avevano assunto le donne del luogo. La Società Cooperativa Industrie Femminili Italiane, della quale facevano parte come Aemilia Ars, partecipò al padiglione delle Arti Decorative dell’Esposizione Internazionale di Milano del 1906, proponendo, alla maniera di Morris, ambienti interamente progettati e realizzati dai vari comitati regionali dell’IFI che raccolsero grande consenso.  I prodotti dell’ IFI. avevano una forte rete di distribuzione internazionale e vendevano molto, soprattutto negli USA. Poco più di venti anni dopo anche l’azienda ravennate Callegari e Ghigi, protagonista di un grande successo grazie alla produzione di teloni, tende e indumenti impermeabili per l’esercito dall’inizio del secolo, aprì una sezione “Tessuti impressi a mano”, dedicata a tappezzerie, tende,  biancheria per la casa, cuscini e  borse in canapa stampate a ruggine, dove l’iconografia bizantina incontrava il design di matrice liberty. Attualmente si sono fortunatamente sbiadite le suggestioni spallicciane, legate a una supposta idea di “ romagnolità” agiografica, etnografica e pittoresca, e la stampa romagnola è uno dei settori di artigianato artistico del nostro territorio nel quale il ritorno ad una qualità del “ fare” si unisce alla ricerca storica e artistica e alla sperimentazione su materiali, tecniche e decorazioni, con risultati di grande qualità. Forse perché, oggi più che mai, l’insegnamento di William Morris sulla qualità del fare e sulla dignità e il piacere del lavoro sono ritornati i cardini di un mercato, che, in questo momento di crisi, deve per forza ripensare se stesso e tradurre come asse portante l’hand made, la bellezza e  il recupero della tradizione in chiave ecosistemica.

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