Il negletto Rusty Nail, il Negroni e la Piña Colada: vincere facile

Origini antiche ma tenuta da fuoriclasse

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Negroni

Qualcuno si ricorda ancora del Rusty Nail? Per decenni è stato uno dei cocktail più in voga, ma poi, così, la semplice combinazione di scotch e del liquore a base di scotch e miele Drambuie (parola derivata dal gaelico “an dram buidheach”, che significa “la bevanda che soddisfa”) è scomparsa dalla maggior parte dei menu dei bar e viene ordinata raramente. Si tratta di un cocktail ideale per il dopo cena, un drink dal tenore alcolico importante, caratterizzato dalla piacevole nota dolce del liquore al miele. La sua scomparsa è comunque stata misteriosa quanto la sua comparsa. Il nome del drink (letteralmente “chiodo arrugginito”) è probabilmente dovuto al colore della miscela nel bicchiere. Secondo Dale DeGroff – il cosiddetto “Re dei cocktail” americano – il Rusty Nail viene accreditato nel 1960 al 21 Club di Manhattan, mentre il nome è dovuto a Gina McKinnon, presidentessa del Drambuie Liqueur Company nel 1963. Secondo un’altra ipotesi il Rusty Nail fu invece creato molto prima, nel 1942, da un anonimo barman che volle rendere omaggio allo statistico statunitense Theodore Andreson con il proprio cocktail. Comunque, come per molti classici, la ricetta varia molto. Alcuni barman preferiscono due parti di scotch per una di Drambuie; altri richiedono un rapporto di uno a uno, e molte versioni moderne sono molto più secche, suggerendo quattro parti di whisky per una di liquore. Ma il Rusty Nail è un classico per una ragione, e il rapporto due a uno sarà sempre un ottimo esempio di drink. Vediamone la preparazione, super facile, per la quale occorrono 50 ml di scotch whisky (per me il top sarebbe il Lagavulin 16 Year Old, ma non è proprio a buon mercato…), 25 ml di Drambuie, ghiaccio e un’arancia per la decorazione. Mettiamo lo scotch e il Drambuie in un bicchiere con ghiaccio e mescoliamo fino a quando non è ben freddo. Poi filtriamo in un tumbler basso su un grande cubetto di ghiaccio. Decoriamo con una fetta d’arancia e il gioco è fatto.

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Rusty Nail

Cambiamo ora spirito e “ambientazione” per parlare di un classicone immarcescibile, la Piña Colada, ma con una premessa: è vero che la ricetta originale prevede rum bianco, ma quelli scuri offrono un profilo aromatico molto distintivo, pieno, audace e senza compromessi, con il loro ricco carattere dolce di caramello e spezie, per non parlare delle note di melassa profonde e complesse. Dunque, sebbene originariamente questo cocktail venga realizzato con un rum leggero, la combinazione di ricchi sapori dolci e cremosi può certamente permettersi di accoglierne uno più ricco, che si distinguerà e contribuirà con il suo carattere alla resa finale del drink. Ma torniamo a noi. La Piña Colada ha una fama un po’ negativa tra gli intenditori di cocktail. Per anni questo drink è stato il manifesto del boom dei frullatori, simbolo dei bar a bordo piscina e delle crociere. Ma il cocktail tropicale – un mix di rum, cocco, ananas e succo di lime – risale agli anni ‘50 e da allora soddisfa vacanzieri e appassionati di rum caraibico. La storia racconta che la Piña Colada debuttò nel 1954 (anche se la leggenda lo colloca molto più indietro nel tempo), quando fu miscelata per la prima volta da Ramon “Monchito” Marrero, il capo barman del Caribe Hilton di Old San Juan, a Porto Rico. Perez aveva inventato una bevanda vincente e il drink ha goduto di un posto al sole per decenni, arrivando un po’ ovunque. Tuttavia, la qualità ha subito un calo intorno agli anni ‘70, quando i baristi hanno iniziato a preparare la Piña Colada con miscelatori economici in bottiglia e a servirla in bicchieri comicamente grandi. Fortunatamente, negli ultimi anni il drink ha conosciuto una rinascita, grazie al recupero della ricetta originale da parte dei barman più attenti all’artigianato, che si sono nuovamente concentrati su ingredienti di qualità e proporzioni corrette. Alcuni hanno anche optato per sostituire il tradizionale frullatore con lo shaker, creando un cocktail più leggero e meno ghiacciato. La nostra ricetta segue questa strada, mettendo a tacere le lame del frullatore e impiegando uno shakeraggio bello vigoroso. Questa tecnica evita che il cocktail si diluisca eccessivamente e, servito su ghiaccio fine, garantisce una bevanda fredda. Questa Piña Colada è dolce ma equilibrata, con il rum speziato e la frutta aspra che completano la ricchezza del cocco. La preparazione, anche in questo caso, è semplice. Mettiamo il rum (a me piace molto il Dos Maderas 5+3), la crema di cocco e i succhi di ananas e lime in uno shaker con ghiaccio e agitiamo vigorosamente per 20-30 secondi. Filtriamo quindi in un bicchiere Hurricane (l’abbiam visto mille volte, è quello con la pancia, che poi torna ad aprirsi verso l’alto) raffreddato su ghiaccio fine. Guarniamo con uno spicchio di ananas e una foglia di ananas. Gustiamo.

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Piña Colada

Oh, e per finire l’emblema della classicità, il celeberrimo Negroni. Facile da preparare e rinfrescante, il Negroni è stato inventato a Firenze dal temerario conte Camillo Negroni all’inizio del XX secolo. Mentre si trovava al Bar Casoni, chiese al barista di rafforzare il suo cocktail preferito, l’Americano, sostituendo la solita soda con il gin. Per differenziare ulteriormente il drink, il barista utilizzò anche una buccia d’arancia invece della tipica buccia di limone. È una storia ampiamente accettata e documentata in Sulle tracce del conte. La vera storia del cocktail Negroni, scritto da Lucca Picchi, capo barman del Caffe Rivoire di Firenze. La fatidica sostituzione del conte ha dato vita a uno dei drink agitati più popolari della storia: il Negroni si colloca infatti accanto al Martini e al Manhattan nel pantheon degli immortali. Il Negroni ha anche dato il via a un sacco di varianti, e oggi lo si può trovare in una miriade di iterazioni nei ristoranti e nei cocktail bar di tutto il mondo. Pochi cocktail hanno infatti incoraggiato una sperimentazione più frenetica dell’amato Negroni nel corso dei suoi 100 anni di storia. La ricetta a base di gin, Campari e vermouth dolce è diventata la piattaforma su cui generazioni di miscelatori hanno lasciato la loro impronta. Ci sono molti altri modi per modificare il Negroni, oltre alla semplice sostituzione dello spirito di base. Anche il tipo di vermouth utilizzato può avere un impatto sul risultato. Sceglietene uno più amaro, erbaceo, floreale o secco e noterete la differenza. Ma il Campari? Quello rimane quasi sempre inalterato. Si può provare a sperimentare con un liquore amaro diverso, e alcuni barman lo fanno. Ma il Campari… Quindi, come si miscela la versione classica perfetta? La chiave per un ottimo Negroni è tutta nel trovare un abbinamento gin-vermouth rosso (30 ml di ciascuno) che integri, anziché sovrastare, i sapori amari e decisi del Campari (sempre 30 ml). Senza dimenticare la guarnizione con mezza fetta d’arancia! Salute.

Un grande gin giapponese per il nostro Negroni 
Ho provato un Negroni con Campari, vermouth rosso “Antica Torino” e gin Ki No Bi Kyoto Dry Gin. Quest’ultimo è ispirato alla tradizione ed è distillato, miscelato e imbottigliato a Kyoto. I botanici sono separati in sei diverse categorie distillate singolarmente: base, agrumi, tè, erbe, spezie e floreali. KI NO BI in giapponese significa “La bellezza delle stagioni”, la radice di zenzero dà un finale leggermente caldo e speziato.

Un drink dalle origini “misteriose”
La Piña Colada, di chiare origini latinoamericane, letteralmente significa “ananas pressato” ed è il drink nazionale dell’isola di Porto Rico dal 1978, paese in cui ogni 10 luglio viene celebrato il giorno nazionale della Pina Colada. Come per numerosi altri cocktail, sono molti i presunti creatori del drink: ad esempio una leggenda narra che il pirata Roberto Cofresì, vissuto tra il 1791 e il 1825, era solito bere una bevanda a base di rum, succo di ananas e latte di cocco, ma dopo la sua morte la ricetta venne persa. Il cocktail – che inizialmente non riscosse un gran successo – acquisì fama mondiale dopo il 1978, quando Rupert Holmes scrisse la canzone “Escape”, conosciuta come “la canzone della Piña colada”.

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