
All’interno dello spazio domestico spesso il lighting design viene interpretato come un accessorio da definire una volta ultimata la parte progettuale e, spesso, anche l’arredo degli interni. In realtà negli ultimi tempi si sta diffondendo a ragione una nuova interpretazione del lighting design, diventato un elemento fondamentale della progettazione architettonica, sia dal punto di vista compositivo che da quello strutturale, utilizzato dai migliori studi di architettura e interior design per vestire di luce spazi outdoor – piazze, strade, giardini, edifici storici o avveniristiche visioni” contemporanee – sia ambienti indoor, dal terziario agli ambienti della casa. L’Italia da questo punto di vista ha alcuni interpreti d’eccezione di questa differente filosofia. Forse è la radice, geneticamente umanista e rinascimentale nel cuore, di molti designer e progettisti italiani che ha contribuito a costruire un’etica profonda creando una disciplina che unisce architettura e design, storia dell’arte, psicologia, fisiologia e teoria della percezione, fisica ed elettrotecnica, senza dimenticare una conoscenza “artigianale“ dei materiali. Se da una parte si è sempre più diffusa la necessità di una progettazione integrata per arrivare agli alti livelli qualitativi richiesti dagli edifici, in termini di comfort visivo e risparmio energetico, rendendo fondamentale una progettazione “daylighting” per rendere fluida la relazione esterno-interno, rinforzare i ritmi circadiani, esaltando la luce naturale in modo da aumentare il benessere psicofisico, all’altra parte si investe nel settore illuminotecnico attraverso software specifici in grado di ricreare, anche artificialmente, quella stessa sensazione di benessere, definendo obiettivi che variano a seconda della finalità e della funzione dell’edificio e degli spazi. La luce ha quindi riacquistato uno spessore materico; ha ritrovato le riflessioni di Vitruvio e quelle di Leon Battista Alberti, la densità del “ buio mistico” delle chiese romaniche, il tonalismo di un quadro impressionista di Monet (a chi non piacerebbe dormire in una stanza attorniata dalle ninfee del giardino di Giverny?) e, gradualmente, si sta allargando alla nostra quotidianità, lungo le strade delle nostre città, dove gli edifici storici o gli angoli più suggestivi, spesso, godono di una progettazione illuminotecnica che mette in risalto nelle ore notturne il loro fascino magico e nelle nostre case, con la complicità di modernissimi software o un’accurata progettazione. Ora la luce può variare durante le ore diurne e durante le notturne, focalizzando le aree secondo i loro usi (il living che deve essere sì illuminato ma prevedere qualche focus su zone specifiche per aumentare l’intimità e il senso di accoglienza o la zona notte deve essere principalmente orientata al relax, alla privacy e al riposo). La luce è in qualche modo diventata il fattore essenziale per la creazione di uno spazio armonico, esterno e interno, non più soltanto un accessorio.
Tra i protagonisti della progettazione della luce contemporanea, molti, si diceva, sono italiani. Si può partire da Catellani&Smith che, sin dagli esordi alla fine degli anni ’80, recupera un piacere della materia e della luce. Enzo Catellani, progettista affascinato dalla dimensione artigianale e dal lavoro manuale, crea collezioni che, a partire dal primo catalogo Oggetti senza Tempo e poi con Luci d’oro e Tchu Moon degli anni ’90, si muovono sul sottile crinale che divide il design dall’opera d’arte vera e propria, non rinunciando ad una dimensione narrativa e fiabesca e ad una profonda qualità tecnica ed esecutiva. Di Catellani&Smith sono alcune lampade di culto come la famosissima (e copiatissima) Fil de Fer. Contemporaneamente al percorso di progettista, Enzo Catellani inizia anche a curare il light design di edifici importanti come i Magazzini del Sale di Cervia, la Chiesa di Santa Maria dell’Assunta nel bresciano, la Marina di Amsterdam in occasione del suo anniversario e, nel luglio dell’anno scorso, la grande installazione luminosa ospitata, insieme alla riedizione site specific del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, all’interno dell’ambiente multimediale Alma Mater creato dall’artista Yuval Avital nella Cattedrale della Fabbrica del Vapore di Milano. Un luogo magico creato dall’incontro dialettico di tre creatori sensibili e profondi, con una comune visione estetica, etica e poetica del mondo.
In territori vicini si muove Mario Nanni, “artigiano della luce” e e artista. Il suo brand Viabizzuno è un viaggio altamente solido intorno alla più impalpabile delle materie, che unisce un corpo pragmatico ad un cuore sottilmente mistico nel costruire una filosofia della luce. Sette laboratori di luce e trentadue spazi lampadina nel mondo, una sede a Bentivoglio nel bolognese e un equilibro armonico tra produzione di oggetti e sistemi illuminotecnici, light design, videomapping per grandi eventi e arte contemporanea. Perché a Mario Nanni artista della luce è stata dedicata la grande personale, Luce all’opera, a Villa Panza di Varese, tempio della più importante collezione contemporanea di opere create con la materia luce, da quelle di Bill Viola a quelle di James Turrel e Dan Flavin. Viabizzuno collabora inoltre con alcuni tra i più affermati designer internazionali da David Chipperfield a Claudio Silvestrin, passando da Shigeru Ban e Kengo Kuma, annoverando commissioni internazionali come quelle per il Padiglione 2013 di Sou Fujimoto della Serpentine Gallery di Londra e del Palazzo della Civiltà Italiana di Roma, nuova sede della Maison Fendi.
Ma non sono soltanto i light designer a sperimentare l’arte perché capita anche il contrario, con risultati veramente sorprendenti. È il caso di Olafur Eliasson, danese, enfant prodige dell’arte contemporanea (sua l’installazione Weather Project, visitata nel 2003 alla Tate Modern da più di due milioni di persone), che insieme all’ingegnere Frederick Ottesen ha progettato nel 2012 Little Sun, un piccolo sole dal diametro di 12 cm e dal peso di appena 120 grammi, dotato di celle solari e di batteria ricaricabile: con 5 ore di carica al sole si ottengono 10 ore di illuminazione “soft” o 4 ore di illuminazione “hard”. Il costo cambia in base all’area in cui il compratore si trova. Circa 22 euro per chi vive in zone ben servite dalla rete elettrica; prezzi dimezzati o quasi nulli per chi vive nei cosiddetti paesi off-grid. Little Sun è un progetto imprenditoriale e insieme etico che vuole formare giovani imprenditori locali e realizzare negozi e piccole aziende, legati alla casa madre, direttamente nei luoghi in cui c’è più bisogno di energia e quindi di lampade. Per Olafur Eliasson la finalità è portare lavoro e tecnologie, trasmettere uno spirito affaristico, sviluppare delle succursali gestite da chi conosce i bisogni delle popolazioni locali, rafforzare le comunità combattendo povertà e immobilismo. Insomma l’arte incontra il design (Little Sun sembra un piccolo girasole) e si muove su territori dominati dall’etica, con la complicità della materia più impalpabile, la luce, che, citando Eliasson stesso, è legata indissolubilmente all’interazione sociale e all’indice di felicità delle nostre vite.