Quando l’Architettura resiste agli sfregi e alle iniquità della Storia

Una graphic novel firmata Gerardi, Pantaleo e Molinari traccia un percorso attraverso i luoghi e gli edifici italiani simbolo di una «bellezza civile e democratica»

Le immagini della deliberata distruzione di monumenti antichi che sempre più spesso affollano le cronache provenienti da teatri di guerra (ultima in ordine di tempo le demolizioni del sito archeologico di Palmira, in Siria), testimonia il livello semantico che una creazione dell’uomo può raggiungere, non necessariamente all’interno della civiltà che l’ha generata. Distruggere un antico edificio, magari a favore dei mezzi di comunicazione globali, significa non solo disprezzare l’oggetto distrutto ma anche mettere a tacere un potenziale nemico. Le opere d’arte, infatti, possono andare oltre il semplice significato tecnico ed estetico e diventare un vero e proprio manifesto dei valori della libertà. Tale carattere, da sempre riconosciuto alle opere scultoree, ai dipinti, ai libri, alla musica è tutt’altro che estraneo anche alle opere di architettura; tuttavia la corsa all’immagine di copertina, al design originale ad ogni costo, alla prevalenza dell’architetto sulla sua opera, ha fatto smarrire i sentieri resistenti intrapresi dell’architettura anche nella sua storia più recente.
Nel corso dell’edizione 2015 di Komikazen, Festival Internazionale del Fumetto di realtà di Ravenna è stata presentata la graphic novel Architetture resistenti per una bellezza civile e democratica che si è fatta carico di restituire all’architettura uno dei suoi più profondi e misconosciuti significati.
Il volume, edito nel 2013 da Becco Giallo, ha per sottotitolo Viaggio nei luoghi e negli edifici italiani simbolo di un’architettura diversa e nasce dalla collaborazione tra Marta Gerardi e Raul Pantaleo (Tamassociati, studio veneziano attento fin dalla sua fondazione alle implicazioni civili del fare architettura) e Luca Molinari storico e critico dell’architettura che fondono le loro tre diverse sensibilità (grafica, architettonica e storico-critica) in una scoperta itinerante nella quale alla storia dell’architettura si intreccia la storia civile del Paese. Dalla deriva razziale del fascismo alla speculazione edilizia, dalla strage di Ustica al terremoto dell’Aquila: lungo le 128 pagine del volume si rilegge cosa siamo stati, si tratteggiano le occasioni perse e quelle che è possibile ancora cogliere per conservare identità e giustizia, senza tralasciare l’uso consapevole del territorio.
Il racconto ruota attorno alle vicende della giovane cronista Beni Ponti, messa alle strette dalla direzione del proprio giornale sul quale denuncia scomode verità creando non pochi imbarazzi. Per costringerla a rinunciare alle proprie inchieste le viene affidato un incarico “impossibile”: intervistare l’Architettura, della quale Beni non ha alcuna conoscenza.
Lo spaesamento iniziale lascia il campo alla professionalità della brava cronista che aiutata da Zò, il fidanzato architetto, rimane nel solco del giornalismo civile, incorniciando la sua inedita attività nella ricerca delle “Architetture Resistenti”, ovvero quelle opere che per il loro spirito hanno posto delle solide barriere alla “barbarie”. Il riferimento alla resistenza non ha accezioni “nostalgiche”, piuttosto rimanda al suo significato letterale richiamando la capacità di «opporsi a un’azione, contrastandone l’attuazione e impedendone o limitandone gli effetti» (Treccani).

I primi due esempi concreti sembrano enunciare i contorni dell’intera ricerca.

Si tratta di sue opere – quasi contemporanee – presenti ai due estremi della Penisola: il Parco Archeologico di Selinunte (Trapani) e il Civico Museo della Risiera di San Saba (Trieste) “argini” alla barbarie perpetrata contro la Bellezza e contro l’Umanità.
A Selinunte il paesaggista fiorentino Pietro Porcinai progetta (1973) per l’ingresso al sito archeologico una barriera naturale che isola i reperti salvaguardandoli dall’espansione “irriverente” del disordine, rappresentato dall’edilizia speculativa. Beni, complice una foto esposta nel suo studio, richiama la propria memoria e la visita al parco di Selinunte fatta da bambina, mescolando la fantasia e i chiari ricordi di un «luogo difficile da dimenticare».
La ricerca delle opere Resistenti, tuttavia, necessita di una “guida” che tramite Zò viene individuata in uno storico dell’Architettura (Luca Donato) il quale affiancherà la protagonista con i suoi preziosi suggerimenti. L’incontro tra i due a Trieste offre lo spunto per la visita alla Risiera di San Saba, l’unico campo di concentramento italiano con forno crematorio, «luogo parlante in un assordante silenzio», il cui progetto di allestimento è stato elaborato da Romano Boico nel 1975. Un topolino che attraversa la strada diviene, nell’immaginazione di Beni (e nella matita dell’illustratrice), visione/citazione del Maus di Art Spiegelman (prima edizione italiana nel 1989). Beni rincorre questa visione mentre il punto di vista dell’illustrazione s’innalza vertiginosamente – fino a divenire verticale – e i colori tendono a una tetra monocromia. È il buio, il silenzio squarciato da Maus che si annulla in un’alta ed esile fiamma; «angoscia e inquietudine» cedono a un messaggio di speranza, oltre il valore testimoniale di quelle alte e «surreali» mura la natura riprende il suo corso.
Il racconto si fa poi serrato, Beni viene affascinata da ogni nuova scoperta di cui puntualmente da riscontro nei suoi articoli. Le pagine e la grafica veicolano il racconto su più dimensioni e si fanno dense di prospettive architettoniche (tra le quali la filiale di Banca Etica a Padova, Tamassociati) e oggetti di design contribuendo alla delicata ricchezza della sceneggiatura.

La resistenza prosegue con le visioni utopiche di Adriano Olivetti e la Fabbrica dal volto umano progettata a Pozzuoli da Luigi Cosenza (1951-54); con i volumi arcobaleno dell’Auditorium de L’Aquila (Renzo Piano, 2012), che con la musica spezza l’immobilismo della ricostruzione; con il Museo della Strage di Ustica (Bologna, Christian Boltanski, inaugurato nel 2007), con il giardino degli incontri del carcere di Sollicciano (Firenze, 1985-87, ultimo progetto di Giovanni Michelucci) per finire con il progetto organico di Giancarlo De Carlo per i Collegi Universitari di Urbino (1962-1983).
Nel racconto trovano spazio anche le riflessioni del prof. Donato che intravede nell’Architettura contemporanea uno smarrimento di valori, uno svuotamento di contenuti che vadano al di là dei tecnicismi sfrenati, dell’immagine a effetto. Le sue considerazioni su un’Architettura densificata e asfissiante tracciano un orizzonte oscuro che tuttavia può essere nuovamente illuminato accettando le reali sfide del prossimo futuro e esplicitate con i temi della sostenibilità e della condivisione: progettare è un atto “definitivo”, che comporta per l’architetto privilegio e responsabilità, concetto quest’ultimo posto alla base della filosofia di Tamassociati.
Alla fine del racconto Beni riesce ad affrancarsi dalle ipocrisie del suo giornale, grazie al suo talento che le permette di intervistare le architetture resistenti che rappresentano una svolta e un punto di partenza per una nuova avventura.

I “titoli di coda” scorrono – in una sorta di percorso circolare – nuovamente nel paesaggio siciliano, attraverso il Parco Lineare di Marco Navarra, e riecheggiano le parole di Peppino Impastato, martire dalla libertà, la cui lucidità, attualità e urgenza non sono state minimamente scalfite dalla barbarie e dal tempo: «Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità: si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore».
La graphic novel lancia un messaggio preciso e, con il medium del fumetto, racconta la storia civile dell’architettura italiana del secondo novecento, con alcuni salti nel nuovo secolo. Fuori dai cliché della manualistica ufficiale riscopre il valore più profondo di alcuni progetti noti e meno noti. È per questo che Architetture Resistenti rappresenta, grazie anche ai riferimenti bibliografici riportati al termine del racconto, un’utile lettura non solo per gli “addetti ai lavori” e gli studenti di architettura.

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