Undicesima udienza / Il titolare di un negozio di generi alimentari dieci giorni dopo il delitto disse agli inquirenti di essere sicuro di aver visto la donna nella tarda mattinata di venerdì 16 settembre, in aula ha affermato che era invece il giorno prima ma di averlo ricordato solo dopo quell’interrogatorio pensando che era il primo giorno di scuola del figlio. La madre di Cagnoni disse che Giulia era morta in una villa a Ravenna quando ancora la polizia non lo sapeva
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La ricostruzione di un acquisto di costine di maiale ha impegnato le prime ore dell’undicesima udienza del processo in corte d’assise a Ravenna in cui il 53enne dermatologo Matteo Cagnoni è imputato per l’omicidio volontario della moglie 39enne Giulia Ballestri, trovata morta il 18 settembre del 2016 nello scantinato della villa disabitata in via Padre Genocchi a Ravenna di proprietà del marito. Davanti ai giurati stamani, 26 gennaio, sono emerse alcune contraddizioni e incertezze dei tre testimoni che ruotano attorno a quell’episodio. Il fulcro della questione è il collocamento temporale dell’evento: nella tarda mattinata del 15 o del 16 settembre 2016? Fa una bella differenza perché secondo l’accusa alle 11 del 16 la donna dovrebbe già essere morta e quindi non si potrebbe spiegare come mai qualcuno possa dichiarare di averla vista a fare la spesa in macelleria.
I testimoni ascoltati il titolare del negozio di generi alimentari in piazza Caduti e due dipendenti dello stesso, il macellaio e la cassiera. In aula oggi hanno tutti sostenuto di aver visto Giulia, cliente abituale che comprava spesso quelle costine tagliate in un modo preciso per servirle ai figli, in negozio giovedì 15 poco prima della chiusura. È stata la difesa dell’imputato, avvocato Giovanni Trombini, a mettere in mostra la differenza tra quanto detto oggi e quanto invece dichiarato una decina di giorni dopo l’omicidio quando i tre vennero ascoltati dagli inquirenti. In particolare è il titolare che più di altri ha rivisto la sua posizione: all’epoca disse agli investigatori di essere certo che Giulia era entrata in negozio il 16, di averla salutata uscendo e di ricordare che il negozio era particolarmente affollato come accade solitamente di venerdì o sabato e non in altri giorni. Davanti ai giudici ha invece detto che Giulia arrivò a fare acquisti il 15. Inevitabile per l’avvocato Trombini chiedere spiegazioni: «Sul momento ero convinto fosse il 16 – ha spiegato il negoziante – poi dopo essere stato ascoltato dalla polizia è capitato di ragionare ancora sulla questione con gli altri colleghi e continuavamo a discutere sul giorno fino a quando mi sono ricordato con certezza che la salutai mentre uscivo per andare a prendere mio figlio nel primo giorno di scuola, cosa che non faccio quasi mai e quindi per questo me ne ricordo in maniera particolare, e quindi mi sono reso conto che doveva per forza essere il 15». L’altra anomalia emersa è quella della cassiera che allora come oggi dichiara di aver incassato da Giulia con un pagamento tramite bancomat ma nell’elenco delle transazioni della carta non c’è traccia dell’acquisto in negozio in quei due giorni. Una delle ipotesi per spiegare la circostanza è che il primo tentativo di pagamento non sia andato a buon fine e quindi la donna abbia poi pagato in contanti.
Ma non sono queste le uniche anomalie esposte nell’aula di corte d’assise. Un’altra l’ha raccontata il vicequestore aggiunto Maria Assunta Ghizzoni in forza alla squadra mobile di Firenze: fu lei a coordinare la squadra di cinque agenti che andarono a casa dei genitori dell’imputato nel capoluogo toscano nella tarda serata di domenica 18 per cercare Matteo Cagnoni su mandato della questura di Ravenna. Ghizzoni indossava una gonnellina, dei sandaletti con tacco e un giubbotto di jeans con strass «perché ero già pronta per uscire con le amiche ma ero reperibile e mi chiamarono dalla centrale operativa». Il dettaglio dell’abbigliamento non è una concessione voyeurista ma emerge in risposta alla precisa domanda del pubblico ministero Cristina D’Aniello fatta nel tentativo di smontare la possibilità che la poliziotta potesse sembrare a capo di un commando armato come invece ha dichiarato Cagnoni per spiegare la paura che lo portò a fuggire dalla finestra alla vista degli agenti. L’anomalia emerge in una dichiarazione di Vanna Costa, madre dell’imputato: la polizia sta cercando il figlio e lei prima dice che è in caso poi che non c’è e poi cambia ancora idea fino a quando aprendo una porta vengono trovati i tre figli che dormono. Ghizzoni chiede come mai siano soli senza genitori e Vanna Costa risponde che la loro madre (Giulia) è morta di morte violenta a seguito di una rapina compiuta da uno straniero in una villa di Ravenna di proprietà del nonno. Nel momento in cui pronuncia queste parole, i poliziotti fiorentini sanno solo che è stato trovato il cadavere ma non sanno dove, come sia morta, da quanto tempo sia morta. Come faceva l’anziana donna a saperlo? E perché il marito, il professor Mario Cagnoni, arriva e la porta via per un braccio invitandola a non dire altro?