Processo Cagnoni, lo psicologo: «Matteo narcisista, Giulia mostrava passività»

Settima udienza / Il professionista segue l’imputato da prima del matrimonio e poi anche la moglie: «Per lui perdita di immagine era drammatica»

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«Lei aveva un quadro orientato in senso depressivo ma più come un atteggiamento di passività piuttosto marcato, lui ha sempre mostrato un disturbo della personalità con uno sfondo narcisistico». La voce chiara del dottor Giovanni Tadolini riempie l’aula della corte d’assise di Ravenna: lo psicologo traccia i profili psicologici dei coniugi Giulia Ballestri e Matteo Cagnoni, rispettivamente 39enne vittima e 53enne imputato dell’omicidio avvenuto il 16 settembre 2016. Entrambi sono stati pazienti del 67enne bolognese chiamato dall’accusa del processo a deporre nella settima udienza svoltasi oggi, 1 dicembre.

Tra il pubblico in aula in corte d’assise al processo per Cagnoni

Tadolini ha conosciuto Cagnoni prima del matrimonio che risale a una dozzina di anni fa: «Si presentò da me perché riteneva che da una terapia ne avrebbe acquistato in sicurezza e serenità. Abbiamo avuto sedute con scadenze regolari per un paio di anni poi i rapporti sono diventati più radi ma non si sono mai interrotti e nel tempo ci siamo trovati anche ad essere colleghi nello stesso poli-ambulatorio bolognese». La moglie invece incontra lo psicologo verso la fine del 2015. Fu il marito a chiedere a Tadolini di seguire Giulia: «Non ero molto d’accordo e manifestai le mie perplessità. Non è bello dal punto di vista clinico quando marito e moglie vanno dallo stesso psicologo ma accettai perché pensavo che avrei avuto solo un ruolo di supporto». Il professionista ci tiene a precisare una cosa: non raccontava a Cagnoni cosa si dicevano nelle sedute con Ballestri, anche se lui lo chiamava al telefono cercando di avere informazioni in tal senso. Così come sottolinea la volontà di Giulia nel proseguire il percorso psicologico: «Mi disse che sarebbe venuta solo da me e quando le dissi che era meglio andare da un altro lei mi disse che voleva continuare con me»

«Giulia aveva qualche patologia?», è la domanda esplicita del pubblico ministero Cristina D’Aniello che porta Tadolini a sviscerare la figura della donna uccisa a bastonate nello scantinato della villa abbandonata di proprietà della famiglia Cagnoni in via Padre Genocchi a Ravenna. «Avevo notato una marcata passività nei confronti della situazione matrimoniale che non gradiva, diversi aspetti le risultavano pesanti e lo diceva in maniera esplicita manifestando la sua incapacità di reagire. A Giulia pesava molto che Matteo fosse molto condizionante nell’organizzazione della vita. Diceva che era un rompipalle ma diceva anche che aveva paura di perderlo perché per lei era stato un grandissimo punto di riferimento». Tadolini ripercorre le confidenze della donna riferite al periodo dell’inizio della loro conoscenza: «Giulia definiva il periodo precedente all’incontro con Matteo un periodo confuso in cui non sapeva che strada prendere, si trovava in difficoltà con le amicizie e le persone che frequentava. Me lo ricordo perché lo sottolineava bene. Incontrare Matteo aveva voluto dire trovare un buon contenitore esistenziale».

Il marito diceva che era depressa, circostanza già emersa nel corso delle testimonianze raccolte nelle precedenti udienze, così come era emerso che lui le prescriveva dei farmaci antidepressivi che – secondo la versione di amici e conoscenti – lei assumeva perché la sua insistenza era sfiancante: «Da quanto mi pare di aver capito li aveva presi in diverse fasi della sua vita, forse non in maniera costante. Io consigliai a Giulia di andare da uno psichiatra perché non era il caso che Matteo le procurasse gli psicofarmaci». Ma anche l’uomo assumeva dei tranquillanti che si prescriveva da solo: «Per dei periodi credo che assumesse della Paroxetina ma era comunque una persona informata su questi temi».

Da destra l’avvocato Giovanni Scudellari che assiste Guido Ballestri, fratello della vittima

Tadolini seguiva Giulia ma altrettanto faceva con Matteo, in parallelo: «La possibilità della separazione lo angosciava molto, mi chiamava spesso per lenire la propria angoscia. Pur vedendolo addolorato lo invitai a prendere seriamente in considerazione l’ipotesi che non era da vedersi per forza come un fallimento. Ricordo un confronto piuttosto energico con lui al telefono in cui mi misi a urlare perché mi aveva infastidito la sua ostinazione nel voler continuare un rapporto molto dolente per entrambi ormai retto da una relazione troppo problematica e dolorosa, non vedevo particolari vie d’uscita e ci tenevo che la situazione non diventasse dolorosamente cronica».

Lo psicologo non lascia margine ai dubbi: Cagnoni era uno che doveva a tutti i costi organizzare la vita delle persone attorno a lui ma lo era sempre stato così «forse con la variante del vedere Giulia più sfuggente era aumentata la sua tensione e diventava più controllante». Come ad esempio ingaggiare un investigatore privato: «Cagnoni me lo disse tra inverno e primavera del 2016. Credo di avergli detto che era una stupidaggine, ero dissenziente per filosofia: non si fa e basta».

Gli avvocati di parte civile del processo Cagnoni

Sotto le puntuali domande della pubblica accusa, Tadolini amplia il profilo dell’imputato: «Nella sua personalità c’è un antico stato di insicurezza e frustrazione, nell’infanzia probabilmente le attenzioni al bambino non erano sufficienti. Matteo mostra una personalità con elementi di insicurezza trasformati in bisogno a volte eccessivo di comparire ed essere visto anche nella vita professionale adulta. Per lui la perdita dell’immagine era vissuta come un fatto drammatico, lo riconoscevamo bene sia io che lui. In questo quadro non è quindi insolito che mostrasse aggressività e vendicatività ma chiesi a Giulia se mai era arrivato a reazioni violente e mi disse di no». E riconosce che quando capitò di vederli insieme in occasioni pubbliche apparivano come una coppia in sintonia. La stessa sensazione avuta da tanti altri. Perché perdere l’immagine in pubblico proprio no, non andava fatto.

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