Dodicesima udienza / In aula l’87enne ex docente universitario: per quattro ore e mezza ha fornito la sua versione su tutte le presunte incongruenze sollevate dall’accusa (pm D’Aniello). Respinta la richiesta della difesa per poter scegliere di rinunciare alla deposizione in quanto stretto congiunto dell’imputato. Lo zio Giorgio invece ha potuto avvalersi. La madre non si è presentata: impossibilitata per un decadimento cognitivo
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La pressante insistenza della polizia nel cercarlo la notte in cui fu trovato il cadavere della nuora e poi i giornali che cominciarono a processarlo in pagina già dai primi giorni: per questi motivi l’87enne Mario Cagnoni, ex docente universitario di medicina interna, dice che al principio dei fatti aveva pure preso in considerazione la possibilità che il 52enne figlio Matteo avesse ucciso la moglie Giulia Ballestri. «Poi gli feci visita per la prima volta in carcere, pensavo di trovarlo distrutto e invece era di una tranquillità che non mi aspettavo e mi fece capire che non poteva essere stato lui». La deposizione dell’anziano professore – già più di quaranta i testi già ascoltati dal 10 ottobre – ha riempito la dodicesima udienza del processo in corte d’assise per l’omicidio Ballestri andata in scena oggi, 2 febbraio. Era prevista anche la testimonianza della madre Vanna Costa: non si è presentata inviando una consistente documentazione medica che ne attesta uno stato di salute segnato da un decadimento cognitivo da circa un anno e mezzo: il pubblico ministero ha nuovamente chiesto che venga ascoltata alla prossima udienza del 9 febbraio.
La richiesta della difesa era che il padre dell’imputato potesse avere facoltà di rinunciare a deporre per lo stretto legame di parentela con l’imputato, come previsto dai codici. Che al tempo stesso – e questa è la posizione abbracciata dalla corte – non concede la stessa facoltà qualora il teste sia anche affine alla parte lesa. Suocero-nuora significa affini, perciò richiesta respinta. Una volta appreso il verdetto della giuria l’uomo ha provato a spiazzare tutti dicendo che in ogni caso, anche avendo avuto la facoltà di rinunciare, si sarebbe sottoposto all’interrogatorio. Scelta opposta invece l’ha fatta il fratello Giorgio, zio dell’imputato.
Per tutto il tempo pochissimi sono stati i contatti visivi tra i due. Un distacco non interrotto nemmeno nei momenti di pausa in cui quasi si voltavano le spalle. Elegante nell’abito con cravatta e gilet, voce bassa, pochi sorrisi: il padre dell’imputato ha parlato per quattro ore e mezza. Riconosciuto come professore di grande caratura, mai una volta gli è mancata la parola per replicare ma il profilo di uomo carismatico che vanta è parso in contrasto con una tendenza quasi sistematica a scostarsi dal microfono: il presidente della corte Corrado Schiaretti è stato costretto a richiamarlo spesso perché si accostasse per rendere comprensibili le sue dichiarazioni. Per ogni domanda ha fornito una risposta tratteggiando la sua spiegazione per ogni apparente incongruenza. In alcuni momenti il racconto fornito dall’87enne è stato meticoloso fino al più minimo dettaglio al punto. Il padre di Matteo Cagnoni è da considerare a tutti gli effetti un teste chiave in questa vicenda: inizialmente indagato per favoreggiamento, accusa poi caduta, sono comunque molti i momenti in cui la sua presenza non è secondaria per capire i fatti.
Le domande del pubblico ministero Cristina D’Aniello (al banco dell’accusa oggi per tutta l’udienza anche il procuratore capo Alessandro Mancini, a sottolineare la delicatezza della testimonianza) si sono concentrate su alcune questioni principali: i cuscini delle poltrone trovati nella villa dei genitori a Firenze e secondo l’accusa rimossi dalla villa dei giardini a Ravenna perché sporchi del sangue della vittima; la visita a un avvocato penalista nella tarda serata di domenica prima del ritrovamento del cadavere; certe frasi pronunciate al telefono con amici e parenti; una ammissione fatta alla nipotina undicenne.
Di domenica dall’avvocato. La domenica pomeriggio padre e figlio salgono sulla Mercedes Classe A del primo – «Volevo guidare io perché quando guida Matteo mi viene da vomitare» – e raggiungono lo studio dell’avvocato Giovanni Trombini – attuale difensore di fiducia con il collega Francesco D’Alaiti – a Bologna. Un appuntamento per le 18 che inizia alle 19 e si protrare per lungo tempo tant’è che il rientro a Firenze avverrà solo poco dopo mezzanotte. A fare cosa da un penalista? «Avevamo saputo da Ravenna che Giulia non si trovava. Mio figlio era convinto che si trattasse di un allontanamento volontario e mentre i bambini non la trovavano al telefono, lui voleva capire se questo poteva essere penalmente rilevante a carico della donna per trarne un vantaggio nell’ambito dell’accordo di separazione che mi risulta avessero già raggiunto. Parlava di abbandono del tetto coniugale. A me sembrò strano ma quando mio figlio si mette in testa qualcosa è difficile fargli cambiare idea e così siamo andati dall’avvocato che prima di tutto è un amico di infanzia di Matteo». A Bologna però non vanno dritti in via Barberia. La ricevuta del parcheggio dell’aeroporto dice che sono prima passati là: «Colpa mia. Mio figlio dormiva accanto a me e io ho sbagliato uscita. Ci siamo ritrovati nella zona aeroporto e ormai che eravamo là Matteo mi disse che voleva andare a vedere degli orologi per un regalo da fare ai bambini. Io mi presi un caffè perché avevo sonno e poi lo ritrovai in auto che non aveva comprato nulla». Per l’accusa in quel momento l’imputato avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di una fuga all’estero.
La spiegazione alla nipotina. La madre di Giulia Ballestri nella sua deposizione a dicembre ha raccontato che la nipotina di undici anni, figlia maggiore dei coniugi Cagnoni-Ballestri, avrebbe saputo dal nonno paterno che i vestiti indossati dalla mamma il giorno in cui è morta erano stati gettati via proprio da padre e nonno: «Ai bambini non si dicono bugie – ha messo in chiaro in aula Mario Cagnoni –. Alla domanda di mia nipote ho risposto che non potevo escludere che fossero nei sacchetti che mio figlio aveva nel baule della macchina perché non li ho aperti».
La telefonata con il figlio. Il mattino dopo il ritrovamento del cadavere Mario parla con l’altro figlio Stefano al telefono: «Brutte notizie», lo informa. A un certo punto Stefano chiede: «Cos’è stato un eccesso di rabbia?». Mario pare annuire e poi dice: «Ora vediamo quello che si può fare, parliamo con l’avvocato che verrà questa mattina stessa. Naturalmente si dice che non è vero, che è stato qualcun altro da fuori». In aula spiega che quella era solo la convinzione che avevano e che ipotizzavano come spiegazione e non una versione che si stava costruendo ad hoc.