La polizia municipale apre Whatsapp: «Ascoltiamo i cittadini, ma serve serietà»

Il comandante Andrea Giacomini illustra il progetto sperimentale di collaborazione tra i vigili e le chat di quartiere: i referenti dei gruppi dovranno essere formati e fare da filtro per le segnalazioni

RAVENNA 14/07/17. ANDREA GIACOMINI, NUOVO COMANDANTE POLIZIA MUNICIPALE DI RAVENNA

Andrea Giacomini, comandante della polizia municipale di Ravenna

«La richiesta che veniva dai gruppi di chat di quartiere era quella di essere ascoltati e ci siamo detti che vale la pena tentare una sperimentazione per capire se si può costruire una collaborazione organizzata, utile nell’interesse della città». Il comandante Andrea Giacomini, ex capitano dei carabinieri, porta la polizia municipale di Ravenna su Whatsapp.

Qual è la ragione di questa sperimentazione?

«Le chat di quartiere su Whatsapp sono nate spontaneamente nel tentativo di migliorare la sicurezza della città. Si può dire quindi che il loro obiettivo finale sia lo stesso che ha anche la polizia municipale».

Qualcuno teme una strumentalizzazione per fini politici…

«Per il mio ruolo mi farò garante di una imparzialità sotto questo aspetto. Questo non toglie che un amministratore locale possa essere soddisfatto che questa novità arrivi nell’epoca in cui è al governo della città».

I gruppi Whatsapp sono composti da cittadini comuni, raramente dotati di competenze specifiche in materia di sicurezza e fenomeni di criminalità e comprensibilmente inclini ai condizionamenti emotivi. Non si corre il rischio di dare spazio alla pancia del popolo?

«Innanzitutto va detto che la maggiore attenzione verso i fenomeni di controllo del vicinato autorganizzato arriva direttamente dalle indicazioni del ministro degli Interni. Poi la difficoltà della sperimentazione sta proprio nell’inserire le cose in un quadro strutturato che non lasci spazio alla confusione».

Da qualche tempo avete aperto un canale di comunicazione con Sos chat.

«È stata una scelta dettata da una convenienza numerica in una fase iniziale: il nostro obiettivo è rapportarci con ogni gruppo e così sarà, ma abbiamo cominciato con Sos Chat perché già riunisce una quindicina di gruppi e per noi era più comodo. Da qualche tempo alcuni nostri operatori fanno parte del loro gruppo per rodare il meccanismo».

Il 5 febbraio ci sarà un incontro aperto al pubblico a casa Melandri alle 20.30 per illustrare il progetto. Ci spiega un po’ come sarà?

«Ogni gruppo che vorrà avviare una collaborazione conla Municipale dovrà scegliere al suo interno dei referenti, stiamo pensando che possano essere tre. Questi dovranno compilare un’autocertificazione e seguiranno alcune giornate di formazione: nulla di troppo complesso ma un percorso che consenta di comunicare alcuni concetti utili e permetta anche a noi di capire chi abbiamo di fronte. L’intenzione è che loro facciano da filtro capendo quali segnalazioni che viaggiano sui loro gruppi abbiano una consistenza interessante per essere trasmesse anche sul gruppo che coinvolge la Municipale. I consigli territoriali saranno gli sportelli dove potersi rivolgere per avere le informazioni».

Whatsapp resterà l’applicazione in uso?

«Per ora sì, ma andremo verso una piattaforma diversa più specifica che riduca il margine di discrezione del singolo introducendo campi da compilare, renda possibile una geolocalizzazione degli eventi per organizzare meglio i servizi di pattuglia e permetta di conservare uno storico per utilizzo futuro dei dati».

Ma è davvero utile alle forze dell’ordine ricevere segnalazioni di cittadini spaventati?

«Prima di tutto va chiarito che se si assiste a un episodio grave la regola è chiamare il 112 e non scrivere in chat. Questo deve essere chiaro a tutti. La chat deve servire per veicolare quelle segnalazioni che non richiedono un pronto intervento ma possono comunque essere utili per addrizzare le antenne. Le bande dei furti solitamente scelgono una zona e colpiscono a raffica una casa dietro l’altra in una notte intera e stessa cosa per le truffe agli anziani: se dopo la prima si sparge la voce magari si interrompe la striscia».

È cambiato il modo di agire di chi ruba nelle case?

«Una volta avevamo a che fare con bande che sceglievano un obiettivo studiando e preparavano l’azione sapendo cosa andavano a rubare. Oggi abbiamo bande che puntano una zona che offre comodità per agire, colpiscono più case possibile prendendo tutto quello che possono e poi fanno un bilancio di cosa hanno preso. Questo tipo di criminalità è rappresentata soprattutto da stranieri dell’Est Europa che concepiscono il furto come qualcosa non così grave, anche per via di un vecchio retaggio storico radicato in Paesi che hanno vissuto con il Comunismo dove la proprietà privata non esisteva e la redistribuzione delle ricchezze era prassi».

Le chat nascono perché ci sono tecnologie nuove. Quali altre hanno fornito maggiori strumenti ai corpi di polizia?

«Direi senza dubbio telecamere di videosorveglianza e varchi stradali con lettori di targhe».

Le telecamere però non hanno permesso di evitare la raffica di spaccate in pieno centro…

«Abbiamo 80 telecamere in città. La situazione ideale è quella in cui l’operatore di centrale vede sul monitor che qualcuno sta per sfondare una vetrina e fa intervenire la pattuglia. Ma questo non è così facile. Però non è corretto dire che le telecamere sono inutili perché è proprio grazie a quelle riprese, visionate durante le indagini, che è stato possibile risalire agli autori. Stiamo però pensando a installare telecamere intelligenti che si attivini a certi segnali».

L’ondata di spaccate ha allarmato molti. Così come altri episodi come la rissa fra due famiglie rivali in pronto soccorso o la donna morta dopo mesi di agonia per le conseguenze di una caduta dopo uno scippo a Lugo. C’è un allarme criminalità?

«Non c’è dubbio che nell’ultimo periodo abbiamo assistito a un numero crescente di fenomeni criminali e certamente la vicinanza temporale degli episodi e il fatto che siano accaduti in pieno centro ne ha aumentato il peso nella percezione. Però la valutazione corretta da fare non è quella sull’onda emotiva ma sulle statistiche che dicono che nel nostro territorio chi commette reati poi in una grande percentuale di casi viene individuato. Poi qualcuno può lamentare sulla mancanza della certezza della pena ma questo è un altro discorso».

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