«Dalla guerra ucraina rischi per l’Italia solo in caso di incidenti ai confini Nato»

Il professor Michele Marchi insegna Storia al campus di Ravenna dell’Università di Bologna. Per capire l’aggressione di Mosca «bisogna partire dagli errori dell’Occidente che non ha saputo ancorare all’Europa la Russia uscita sconfitta dalla guerra fredda». Questione gas: «È una dipendenza che crea problemi anche a Putin». Il 9 marzo una lezione del corso aperta online ai cittadini con giornalisti, analisti e docenti

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Vladimir Putin ha 70 anni, è un ex funzionario del Kgb, è presidente della Russia dal 1999, tranne la parentesi 2008-2012 in cui è stato primo ministro

«Un incidente militare sul confine dell’Ucraina con Polonia o Ungheria o Romania potrebbe essere l’elemento di criticità per il rischio di espansione della guerra iniziata con l’invasione russa del 24 febbraio: se dovesse a quel punto scattare il meccanismo dell’aggressione ad un Paese membro della Nato, tutto lo spazio europeo diventerebbe possibile terreno di guerra. Al momento però su questo fronte sarei moderatamente ottimista, perché mi pare che le parti abbiano coscienza di essere già al limite». È la risposta di Michele Marchi ­– docente di Storia contemporanea al campus di Ravenna dell’Università di Bologna dove insegna, tra le altre materie, Storia dell’integrazione europea e Storia del Mediterraneo moderno e contemporaneo – alla do­manda su eventuali rischi bellici per l’Italia.

Professor Marchi, da dove si parte per spiegare l’attacco di Mosca a Kyiv?
«Da una premessa che non vuole giu­sti­ficare o sminuire in alcun modo la gravità dell’aggressione. La guerra fredda è finita con la sconfitta della parte sovietica senza discus­sioni, ma dopo il 1989-91 l’Occidente euroatlantico ha commesso degli errori, ha affrontato con superficialità dei passaggi che invece meritavano un’altra attenzione: occorreva fare di più e meglio per ancorare la Russia a un meccanismo di sicurezza europeo e invece il compito è stato sottostimato. Lo sostiene an­che un convinto atlantista come Kissinger. Qualcosa si stava facendo in questa direzione con gli accordi firmati in Italia a Pratica di Mare nel 2002. Poi è successo che il sistema politico istituzionale russo si è involuto: il Putin del 2002 non è il Putin dell’intervento in Georgia nel 2008 e nemmeno il Putin del 2014 in Crimea. C’è stata una escalation ester­­na e interna con un regime che ha cominciato a far sparire gli oppositori, attaccare i media, eliminare il minimo dibattito democratico. Ma difficilmente le grandi crisi internazionali dipendono da un solo fattore».

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Volodymyr Zelensky ha 44 anni ed è presidente dell’Ucraina da aprile 2019. Era già noto a molti nel Paese perché era un comico e il personaggio di una serie telesiva, “Servitore del popolo”, lo stesso nome della sua formazione politica.

Quali altre motivazioni allora hanno mosso Putin?
«Possiamo citare l’eccessiva debolezza delle sanzioni come risposta euro-occidentale dopo l’ingresso in Crimea otto anni fa: si è avvertita l’assenza della leadership Usa nel blocco occidentale. Erano i tempi della presidenza Obama e gli Stati Uniti guardavano poco all’Europa e più all’Asia e al rapporto con la Cina. Questo, unito alle recenti immagini dell’aeroporto di Kabul dopo la ritirata degli americani dall’Afghanistan, può aver rafforzato in Putin l’idea che fosse arrivato il momento buono per l’azzardo massimo, con la convinzione di restare tutto sommato impunito nella sua mossa per rivendicare un ruolo in questo nuovo bipolarismo Cina-Usa. E infine non sappiamo quanta influenza può avere avuto l’apparato militare nello spingere Putin a invadere l’Ucraina».

La risposta ucraina è più forte di quella prevista?
«La Russia si trova in una situazione che forse credeva di risolvere più in fretta, non credo che si aspettasse un certo tipo di reazione: la Germania che vende armi all’Ucraina è un tornante nella linea della Storia, è qualcosa che la Germania non ha mai fatto dopo il 1945. Putin ha finito per compattare l’Unione europea che era sempre stata divisa su come approcciare i russi: forse è il via libera alla possibilità di una politica di difesa comunitaria».

FGpeio7WUAQ0BL2L’inizio delle operazioni militari è stato a lungo pronosticato, ma a un certo punto sembrava non si sarebbe verificato…
«Infatti resta una scelta oggettivamente incomprensibile se si guarda allo scenario diplomatico della vigilia. Putin aveva riconosciuto le province del Donbass e diplomaticamente aveva ottenuto tutto, ne usciva vincitore assoluto. Forse nella scelta di invadere subentra anche un accenno di perdita di controllo di Putin e una recrudescenza di quella che ormai è una dittatura interna con un sistema oligarchico diventato monocratico e dittatoriale».

Ha definito troppo deboli le sanzioni internazionali del 2014. Saranno sufficienti quelle approvate ora?
«Quelle che si stanno definendo negli ultimi giorni sono piuttosto solide e potenzialmente efficaci. Il problema è sempre quello di capire quanto la sanzione colpisca la leadership e quanto i popoli. Per questo ci sarà da atten­dersi la propaganda russa per screditare i nemici che colpiscono il popolo. Ma di sicuro una sanzione fa sempre meno male di un bombardamento».

FEa3S57XEAMlCU9La questione gas limita le possibilità di manovra dell’Europa?
«Gli Stati europei non sono stati lungi­mi­ranti nel differenziare in passato, è vero, ma la dipendenza viaggia anche in senso opposto. L’Europa difficilmente troverà un altro fornitore in breve tempo e la Russia altrettanto difficilmente troverà un cliente di pari livello in poco tempo. Insomma se la Russia non vende gas all’Europa smette di fare soldi e forse questo potrebbe smuovere qualche oligarca a chiederne conto a Putin mentre gioca alla guerra».

Cosa uscirà dai negoziati?
«Putin non potrà uscirne sconfitto su tutta la linea, questo va tenuto presente nelle trattative, altrimenti potrebbe spingersi sino a gesti incontrollati. E qualche perplessità c’è per la leadership dell’ex comico Zelensky. Per quan­to riguarda i negoziati veri e propri sarebbe stata una garanzia più valida la presenza del ministro degli Esteri russo Lavrov, una vecchia volpe della diplomazia, però molto pragma­tico. Non a caso è stato messo in disparte da Putin».

FKr TIXoAU QLfOsservatori e analisti sottolineano una maggiore loquacità dell’intelligence ame­ricana rispetto al passato nel far circolare notizie per combattere la cosiddetta infowar. C’è una spiegazione?
«La mediaticità dei conflitti è un aspetto sempre più determinante. E abbiamo visto che la Russia negli ultimi vent’anni ha investito molto nella cyber-war. Da un punto di vista informativo l’Ucraina non è la Cecenia o la Siria, dove la Russia putiniana ha agito in maniera praticamente indisturbata, con la presenza di qualche Ong come unico ostacolo».

Meglio trovarci in questa situazione con un Biden o con un Trump?
«I “se” non fanno parte dell’approccio di uno storico, ma credo sia indubbio che con Trump saremmo in un disastro maggiore. In particolare perché aveva totalmente accantonato l’approccio multilaterale e aveva portato i rapporti euro-atlantici al punto più basso».

Come andrà a finire?
«Il grande rischio che fa tremare i polsi è la dimensione potenzialmente nucleare di questo conflitto. Non è tanto il rischio che qualcuno usi l’arma nucleare perché significherebbe riproporre una minaccia uscita dall’ottica del possibile sin dagli anni Sessanta del ‘900, proprio per gli effetti potenziali devastanti sull’intero genere umano. In questo senso anche le minacce di Putin suonano un po’ come velleitarie. Il rischio è piuttosto quello di un incidente e abbiamo ancora ben presente cosa successe a Chernobyl nel 1986, pur trattandosi all’epoca di un incidente sul fronte civile».

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Michele Marchi è il coordinatore del corso di laurea triennale in “Società e culture del Mediterraneo” avviato nel 2020 dal dipartimento di Beni culturali dell’Università di Bologna al campus di Ravenna

Il professor Michele Marchi è coordinatore del corso di laurea triennale in “Società e culture del Mediterraneo: istituzioni, sicurezza e ambiente” avviato dal dipartimento di Beni culturali dell’Università di Bologna nel 2020 a Ravenna. Per il 9 marzo è in programma una lezione aperta del corso di Marchi: dalle 9 alle 11 gli studenti del primo e del secondo anno saranno a Palazzo Verdi in via Pasolini, per un collegamento in videoconferenza con un professore da Siena e uno da Roma III, la giornalista Anna Zafesova (“La Stampa” e “”Il Foglio), un analista dello Iai (Istituto Affari Internazionali) e l’ambasciatore Patrizio Fondi (docente del corso). Potranno partecipare online anche altri studenti e cittadini, previo invio di una mail a europedirectromagna@comune.ravenna.it. L’organizzazione è in collaborazione con il corso di laurea, il Dipartimento di Beni Culturali e lo Europe Direct del Comune.

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