venerdì
27 Giugno 2025
La testimonianza

Il fotoreporter a Beirut sotto le bombe di Israele: «Le scuole ospitano i profughi»

Il ravennate Lorenzo Tugnoli, premio Pulitzer nel 2019, ha vissuto otto anni nella capitale libanese e ora è là per il Washington Post: «Difficile muoversi con le restrizioni di Hezbollah»

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Tugnoli Beirut 2«Erano bombe da due tonnellate ognuna, fanno un gran rumore quando cadono. Le ho sentite bene da casa il 27 settembre, ho preso la macchina e sono riuscito a fare qualche foto della zona colpita». Il fotografo Lorenzo Tugnoli, 45enne originario di Sant’Agata sul Santerno, è a Beirut per la testata americana Washington Post per raccontare l’attacco di Israele. Il bombardamento di quel giorno ha distrutto sei palazzine e ha ucciso Hassan Nasrallah, da oltre trent’anni a capo del partito-milizia Hezbollah sorto a metà negli anni Ottanta. Il raid che ha ucciso lo storico leader è avvenuto nel quartiere di Dahieh, sobborgo a maggioranza sciita nel sud della città, la roccaforte del Partito di Dio dove si trovano i suoi uffici di rappresentanza. «È distante circa tre chilometri da dove vivo ora – ci dice Tugnoli raggiunto al telefono il 30 settembre –. Sembra poca la distanza, ma nel mio quartiere la situazione è relativamente sicura: i negozi sono aperti e c’è una certa normalità».

Da un paio di anni Tugnoli vive a Barcellona, ma negli otto anni precedenti ha vissuto nella capitale del Libano: «Ho sposato una donna libanese e abbiamo deciso di trasferirci in Spagna dove un anno fa è nato nostro figlio. Ora sto usando l’abitazione dei familiari di mia moglie che si sono spostati fuori da Beirut in un’altra casa».

Tugnoli Beirut 1Una settimana prima del bombardamento su Dahieh, Tugnoli si trovava in Giordania dove sta portando avanti un lavoro su figli e nipoti della diaspora dei palestinesi dopo il 1948 e il 1967. «Quando gli attacchi di Israele hanno cominciato a colpire il Libano sono partito in fretta temendo che potessero colpire l’aeroporto come capitò nel 2006 bloccando gli ingressi. Non è successo, ma se succede poi l’unico modo per entrare in Libano è via nave da Cipro perché per via terrestre è impossibile».

La zona sud di Beirut si sta svuotando, la zona nord sta diventando il rifugio dei profughi interni. «Gli attacchi israeliani nel sud e nell’est del Paese e nel sud della capitale hanno messo in movimento la popolazione locale, ma anche tanti palestinesi e siriani che erano nei campi profughi in quelle aree. Molti siriani hanno scelto di rientrare in Siria che ora è considerata più sicura. Si vedono famiglie intere che si spostano con quello che possono mettere nelle valigie e vanno verso nord, Beirut è un campo profughi. Al momento si stima un milione di profughi interni». La città non era affatto preparata a un bombardamento: «Praticamente tutte le ottocento scuole del Paese sono state trasformate in rifugi per gli sfollati. Però si vede tanta solidarietà e tanto calore fra le persone che cercano di aiutarsi». Gli spostamenti interni sono ostacolati anche da mancanze logistiche: «Nel 2006 ci furono migrazioni interne simili, ma c’era la struttura organizzativa di Hezbollah che riuscì a fornire supporto logistico. Stavolta invece il bombardamento è stato preceduto dall’attacco organizzato dal Mossad tramite i pager, i cercapersone. Sono rimasti feriti, mutilati o uccisi molti esponenti del partito che non sono tutti miliziani. Questo ha ridotto la disponibilità di persone per Hezbollah e ne risente la logistica».

La conoscenza della città e della lingua araba stanno facilitando il lavoro del fotoreporter – «Riuscire a conversare con le persone aiuta per scattare foto migliori» – ma ci sono ostacoli che non si possono scavalcare: «Hezbollah controlla gli spostamenti nelle zone sotto il suo controllo e non fa entrare i giornalisti, o li fa entrare solo a sue condizioni. È successo il giorno del bombardamento a Dahieh: ci hanno portato su un terrazzino, ci hanno lasciato fare tre foto del cratere e basta. Questo ovviamente limita le situazioni che si possono raccontare». Fare foto è difficile anche per il pericolo che si corre: «Le zone già colpite possono essere colpite di nuovo e non ci sono preavvisi. Dahieh è una città fantasma con palazzi in fiamme e quando sei lì puoi solo sperare che non arrivi un altro attacco aereo». I reporter non hanno particolari protezioni: «Per rispondere all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 Israele sta usando un’aggressività che non si era mai vista, con pochi scrupoli anche verso la stampa. Qualche colpo di artiglieria è stato sparato contro i giornalisti vicino al confine sud del Libano, tanto per chiarire che non li volevano nei dintorni. Nel 2006 in un mese di guerra ci fu circa un migliaio di civili morti. Quest’anno ce ne sono stati la metà in un giorno solo».

La biografia di Lorenzo Tugnoli
Lorenzo Tugnoli è nato nel 1979 a Lugo. Pochi anni dopo la famiglia si è trasferita a Sant’Agata sul Santerno. Ha cominciato a fare foto da autodidatta ai tempi dell’università a Bologna – ha abbandonato Fisica a un esame dalla laurea – in occasione di manifestazioni studentesche, vendendo poi gli scatti alle testate locali. Si è formato nella studio fotografico di Massimo Sciacca. Tra 2010 e 2015 ha vissuto a Kabul (Afghanistan): nel 2011 il Wall Street Journal pubblica uno suo reportage da Herat. Poi si è spostato a Beirut (Libano) dove è rimasto fino al 2022. Da allora vive a Barcellona. Nel 2019 ha vinto il premio Pulitzer, primo e tutt’ora unico italiano a conseguire il prestigioso riconoscimento in 107 anni di storia. Il premio arrivò per un reportage in Yemen richiesto dal Washington Post: nove settimane di lavoro nello stato asiatico per raccontare la crisi umanitaria. Dal 2017 fa parte dell’agenzia Contrasto.

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