giovedì
19 Giugno 2025
elezioni regionali

De Pascale: «Mi ispiro a Errani e Bonaccini. L’alluvione? Poca prevenzione»

La nostra intervista al candidato del centrosinistra: «Una promessa? Integrazione tra i 4 aeroporti»

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Comizio De Pascale darsena
De Passcale nel corso dell’ultimo comizio a Ravenna, il 7 novembre in darsena (foto Argnani)

Pubblichiamo la prima delle interviste ai due principali candidati alla presidenza della Regione Emilia-Romagna. Partiamo da Michele de Pascale, sindaco uscente di Ravenna, sostenuto da una coalizione di centrosinistra che vede alleate cinque liste: il Pd, l’alleanza Verdi-Sinistra, il Movimento 5 Stelle, la lista Civici con De Pascale Presidente e quella “Riformisti Emilia Romagna Futura” (che comprende +Europa, Pri, Azione e Psi).

Ecco le risposte alle nostre domande, uguali a quelle che abbiamo sottoposto anche a Elena Ugolini del centrodestra.

Nome: «Michele de Pascale».
Luogo e data di nascita: «Cesena, 20 gennaio 1985».
Attuale residenza: «Cervia».
Titolo di studio: «Maturità scientifica».
Professione: «Sindaco di Ravenna».
Dichiarazione dei redditi 2023: «Reddito lordo 153.071 euro».
Stato civile: «Coniugato».
Figli: «Due».
Hobby: «Teatro, sport e lettura».
Ultima tessera di partito: «Pd».
Per chi ha votato alle ultime elezioni europee e politiche: «Pd e Pd».

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Foto Marco Parollo

Perché si candida alla guida della Regione?
«Penso di poter essere utile alla mia comunità e per chi ha passione politica ed è figlio di questa terra, la guida della Regione Emilia-Romagna è lo strumento più forte per incidere nella vita delle persone».

Un suo modello di riferimento per questo ruolo?
«Sono molto legato a entrambi i miei predecessori, vorrei ispirarmi al meglio delle caratteristiche di Stefano Bonaccini e Vasco Errani».

Idee e proposte per migliore la sanità a parità di risorse dallo Stato.
«Noi abbiamo dato battaglia per aumentare le risorse, ma abbiamo anche elaborato proposte all’insegna di una parola chiave che è appropriatezza. Dobbiamo essere capaci di assistere le persone per le loro necessità e indirizzarle verso i servizi di cui hanno davvero bisogno. Per farlo bisogna potenziare i servizi territoriali, che significa anche un risparmio in termini economici, e valorizzare tutte le professionalità sanitarie, in particolare quelle infermieristiche. Inoltre serve un enorme investimento sulla prevenzione, che fa risparmiare e non aumenta la spesa. Detto questo, ribadisco: ci deve essere un incremento delle risorse da parte dello Stato».

Negli ultimi due anni siamo stati più volte colpiti dalle alluvioni, in particolare in Romagna, ma non solo. Quali responsabilità ha avuto secondo lei la Regione?
«La premessa necessaria è che siamo di fronte a eventi climatici inediti per violenza e dobbiamo riconoscerlo tutti; il malato che nega la malattia di norma muore. E per conoscerla bene, questa malattia, bisogna andare sulla collina romagnola. Io credo che tutti si debbano sentire chiamati a un’assunzione di responsabilità nella grande carenza di politiche per la prevenzione di questi anni, e chi cerca di attribuirla solo a una parte, sbaglia. La politica a ogni livello non ha fatto abbastanza, chiunque abbia governato negli ultimi 14 anni e questo vale per lo Stato, le Regioni e anche i Comuni. Io l’ho ben compreso, ma altri no e stanno banalizzando il problema. Dopo gli eventi dell’anno scorso, il governo ha aumentato risorse per la prevenzione? Non lo ha fatto. Io vorrei farlo e non solo per i territori già colpiti, ma anche per quelli, fino a Piacenza, che ancora non sono stati toccati, perché potrebbero essere i prossimi. Sappiamo che per conformazione la Romagna, Bolognese e Ferrarese sono i territori più fragili, ma non sono gli unici a rischio. Serve un cambio di mentalità anche in regione».

Il cambiamento climatico è una realtà o una comoda scusa?
«Sostenere che il cambiamento climatico non esista e che gli ultimi eventi meteorologici a cui abbiamo assistito non siano correlati all’aumento di CO2 è ormai roba da stregoni. Il tema va affrontato su due versanti. Da un lato dobbiamo essere capaci di tracciare una linea che riduca le emissioni senza desertificare l’economia, in questo modo potremo essere un esempio anche per altri. Dall’altra parte dobbiamo aggiornare le opere di protezione perché senza quelle la Romagna sarebbe allagata».

Autonomia differenziata. Quali competenze chiederà di poter gestire direttamente al governo?
«Non ne chiederemo nessuna, sono contrario all’arlecchinata legislativa. Io credo che le leggi debbano rimanere maggiormente in capo allo Stato, mentre la gestione deve essere il più vicina possibile ai territori. Ormai per me è una convinzione ferrea che ho maturato durante la pandemia Covid, quando ogni regione era regolata da ordinanze diverse. L’esempio che mi piace fare è quello delle strade: risorse e gestione delle strade devono essere di competenza dei territori, ma il Codice della strada deve essere uno solo per tutto il Paese».

Scuola e formazione in profonda trasformazione. Quale dovrebbe essere il ruolo della Regione nel futuro?
«Su questo ho una linea molto più equilibrata della mia avversaria, che suggerisce una completa deregulation sul modello di altre regioni. Però credo che dobbiamo difendere il principio: la scelta della scuola superiore è decisiva rispetto al tema dell’ascensore sociale e quindi la scuola pubblica e le istituzioni devono essere presenti nella scelta, accanto alla famiglia. Sappiamo che spesso alla fragilità del ragazzo è legata una fragilità della famiglia e quindi credo ci debba essere un apporto di tutta la comunità. È chiaro che oggi ci sono meccanismi burocratici e storture e il sistema va innovato. Oggi ci si può iscrivere a un centro di formazione professionale solo a quindici anni, il che significa che per molti ragazzi si deve passare per una bocciatura prima di fare quella scelta formativa. Il sistema va innovato sapendo che non esiste una scuola di serie A o serie B, ma tutti devono avere il massimo delle opportunità possibili. Personalmente vorrei fare in Regione ciò che non ho potuto fare in Provincia, ovvero creare un hub che possa aiutare a gestire i passaggi in corso d’anno degli studenti, senza scaricare la questione sulle singole scuole. Una regia esterna che lavori in accordo con Regione, Ufficio scolastico e singole scuole».

Un impegno rispetto ai consultori e al tema dell’interruzione volontaria di gravidanza.
«L’Emilia-Romagna è forse la regione in cui il diritto delle donne ad abortire è garantito in modo più pieno; la politica non deve entrare nei consultori che sono un servizio pubblico sanitario in cui le donne sono prese in carico da professionisti e professioniste. Spesso in questo dibattito si confondono due cose che vanno invece tenute separate. È ovvio che bisogna aiutare le donne che non vogliono abortire a non essere costrette a farlo per ragioni sociali ed economiche e questo si può fare anche rafforzando il rapporto con il terzo settore, ma questo non ha nulla a che fare con il colpevolizzare o mettere in difficoltà la donna che ha deciso di abortire, creandole così altri problemi».

Cosa vedremo in Emilia-Romagna se fosse eletto che non vediamo ora?
«Un sistema areoportuale integrato rispetto a oggi, in cui abbiamo lo scalo di Bologna in grande difficoltà per l’aumento del traffico e dei passeggeri e tre piste poco o per nulla utilizzate: Rimini, Forlì e Parma».

L’errore più grave di Bonaccini? E il suo più grande merito?
«Non credo che Bonaccini abbia commesso errori gravi, certo ci sono cose che gli sono riuscite meglio e altre meno. Spero di non dover dire tra qualche settimana che il suo errore più grave sia stato sostenere la mia candidatura (ride, ndr)… Il suo più grande merito, invece, credo sia stato dare all’Emilia Romagna una caratura nazionale e internazionale che prima aveva meno».

Cosa ha promesso agli alleati che la sostengono?
«Ho promesso rispetto e ascolto sul versante del metodo, abbiamo lavorato su un programma che è pubblico, quindi ci unisce l’adesione al progetto, come dovrebbe essere in una coalizione a cui serve spirito di squadra, rispetto reciproco, credibilità, il fare concreto. E devo dire che è stato anche abbastanza facile forse perché, in piccolo, è quello che avevamo già fatto a Ravenna».

Cosa chiederà loro nel caso fosse eletto?
«Rispetto e spirito di squadra. Ma anche apertura mentale e curiosità alle idee diverse dalle loro».

Qualora non fosse eletto, continuerà a svolgere gli incarichi che ricopre attualmente?
«No, e quindi, anche se non sarò eletto presidente non sarò più sindaco. Non si può fare il sindaco per ripiego».

In Liguria abbiamo visto un’alta percentuale di astensionismo, nonostante l’ampia offerta politica. Che cosa si aspetta in termini di affluenza? E in termini di consensi?
«Abbiamo avuto il 68 percento cinque anni fa e il 37 dieci anni fa. Quando le Regioni votano da sole il dato è sempre molto basso. Io mi auguro che supereremo la soglia del 50 percento. Abbiamo due tipi di astensione che si sovrappongono in questi casi: quella di chi si sente sfiduciato nei confronti della politica, ed è un’astensione che puoi recuperare più governando che non con le campagne elettorali, e l’astensione di chi non sa nemmeno che ci sono le elezioni, e questo è dovuto alla scarsa informazione e si verifica spesso con le Regionali perché i media nazionali non le coprono. Quando le Regioni votavano tutte insieme era quasi un mid-term, oggi invece questo modello per cui quando si dimette un Presidente non si aspetta il primo “election day” disponibile ma si vota in ordine sparso porta spesso proprio alla scarsa affluenza alle urne».

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