Il capo era l’unico che riceveva tutti gli ordini via telefono e affidava le consegne della droga ai galoppini che venivano pagati a cottimo, pochi euro per ogni recapito. La banda così organizzata arrivava a distribuire fino a trecento dosi al giorno tra cocaina (70-90 euro al grammo) e hashish (10-15), nel forese nord di Ravenna e nelle zone ferraresi confinanti. Giro di affari da mezzo milione di euro. Sono gli elementi principali che inquadrano un’organizzazione criminale al centro di un’indagine condotta dai carabinieri del nucleo operativo radiomobile della compagnia di Ravenna. Nelle prime ore della mattinata di oggi, 1 ottobre, è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per nove persone (otto tunisini e un italiano) accusati di 120 capi di imputazione. L’inchiesta, coordinata dalla procura distrettuale antimafia di Bologna, ipotizza il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.
Gli arresti sono stati eseguiti nelle province di Ravenna, Rimini e Treviso. Eseguite anche una ventina di perquisizioni domiciliari che hanno portato al sequestro di denaro in contante, monili, telefoni cellulari e tre panetti di hashish per un totale di due kg. Curiosità: sui panetti, per renderli riconoscibili, gli spacciatori avevano messo i marchi di un brand di abbigliamento di lusso e di una marca di merendine per bambini.
L’operazione odierna è l’epilogo di un’attività investigativa condotta dall’Arma negli ultimi due anni. I carabinieri si misero al lavoro per chiarire i contorni di una brutale aggressione avvenuta il 10 ottobre 2023 a Mezzano: una spedizione punitiva di un gruppo di nordafricani verso un uomo solo che se la cavò con una prognosi di 40 giorni. A novembre 2023 arrivò un primo arresto e altri cinque sono stati eseguiti prima della misura cautelare odierna. «In breve tempo – spiega il colonnello Andrea Lachi, comandante provinciale dei carabinieri – ci siamo resi conto che quella era una punizione per un debito di droga ed eravamo di fronte a un sodalizio composto in maggior parte da persone di nazionalità tunisina che avevano il controllo dello spaccio in una zona specifica del territorio. Non era una semplice attività in concorso, ma c’era un gruppo organizzato».
Gli investigatori hanno individuato anche tre basi operative nel territorio ravennate, una delle quali all’interno di un bar il cui titolare non figura tra gli arrestati. «Le cessioni delle dosi avvenivano in vari luoghi – spiega ancora Lachi –, potevano essere cimiteri, supermercati o semplici parcheggi. La varietà dei punti di incontro serviva per essere meno individuabili».
Il comandante provinciale coglie l’occasione del risultato investigativo per attirare l’attenzione sul fenomeno dello spaccio: «Può sempre un argomento di poca importanza perché si sa che la droga circola, ma il contrasto al traffico è fondamentale per le forze dell’ordine perché attorno a quel mercato avvengono una serie di reati di altra natura che possono essere più gravi. Prendiamo il caso dell’aggressione di due anni fa: l’uomo pestato ne è uscito vivo, ma poteva finire peggio».