lunedì
13 Ottobre 2025
Lettera aperta

Omicidio Minguzzi, sentenza dopo 38 anni, un cugino: «Grazie a chi serve lo Stato con onore»

Le parole di un parente del 21enne di Alfonsine, rapito e ucciso nel 1987: «Quanti devono arrendersi perché non hanno mezzi, tempo o salute per sostenere una battaglia così lunga?»

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera aperta firmata da un cugino di Pier Paolo Minguzzi, il 21enne di Alfonsine rapito e ucciso nel 1987: solamente lo scorso 30 settembre, dopo 38 anni dal delitto, è arrivata una sentenza che individua i colpevoli. Il verdetto nel processo di appello potrebbe non essere ancora la parola definitiva: entro 90 giorni sono attese le motivazioni e poi si apriranno i termini per un eventuale ricorso in Cassazione.

In questa Italia spesso confusa tra chi serve lo Stato e chi lo usa, in questi giorni è successa una cosa importante: la giustizia ha parlato, il senso del dovere ha prevalso. Io non sono un semplice osservatore. Pierpaolo era mio cugino.

Io c’ero. Ho vissuto tutto dal primo momento. Ho visto la nostra nonna di oltre 80 anni, la zia che ha perso un figlio in modo disumano per futili motivi, dei cugini attraversare un dolore ingiusto ed indicibile. Ho visto la dignità resistere, anche quando la speranza sembrava sparita.

Quando in questi anni vedevo mia zia senza più fiducia nelle istituzioni, scoraggiata e convinta che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di riconoscere la verità, io ne soffrivo ulteriormente. Abbiamo vissuto anni in cui si andava in caserma con paura, la paura di chi non sa chi si ha davanti.

Volevo che questa sentenza arrivasse non solo per Pierpaolo, che la merita tutta – anche se questo non cambia il suo destino – ma anche per lei: per restituirle la fiducia e la certezza che lo Stato, quando vuole, sa ancora essere giusto.

E diciamolo chiaramente: mia zia ci è arrivata a questa verità perché ha potuto permetterselo, sia economicamente, finanziando indagini private che hanno permesso di riaprire il caso dopo l’archiviazione, sia umanamente, grazie al dono raro della longevità (oggi ha 92 anni) e della lucidità, che le hanno consentito di vedere riconosciuta la verità in terra, grazie alla sua rinnovata fondamentale testimonianza.

Ma non dimentichiamolo: quanti altri, pur avendo ragione, non arrivano fin qui? Quanti devono arrendersi perché non hanno mezzi, tempo o salute per sostenere una battaglia così lunga? Quanti devono “sapere dentro di sé” senza mai sentirlo dire da un giudice?

Per questo, oggi il mio grazie va a quella parte d’Italia che resiste in silenzio, che ogni giorno serve lo Stato con disciplina e onore, senza riflettori. Sono loro la maggioranza. L’altra — quella deviata, arrogante e spregiudicata — è piccola, e fa danni enormi.

E se qualcuno, in passato, ha depistato o insabbiato pensando – magari in buona fede – di proteggere le istituzioni, sappia questo: non c’è nulla che indebolisca lo Stato più del nascondere la verità. Meglio un sincero “ho sbagliato” che anni di silenzi. Perché chi lavora può sbagliare, e chi riconosce le proprie responsabilità è affidabile. Chi invece insabbia, per paura o convenienza, tradisce ciò che dice di voler difendere.

E allora lo dico chiaramente: lo Stato non appartiene a chi lo tradisce. Lo Stato appartiene a chi lo serve ogni giorno con disciplina e onore. E la verità, anche quando arriva tardi, arriva per tutti, ed è una sinfonia armoniosa che restituisce luce e speranza e ridona vita a chi ha lottato, fino all’estremo sacrificio, per la nostra democrazia.

Un cugino di Pierpaolo

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