La forte valenza narrativa del nuovo progetto musicale – una vera e propria opera “a stanze“ sonore – di De Leo si arricchisce così di una apparizione poetica, a sostegno delle canzoni dalla foggia sonora massimalista, arrangiate con ricchezza di mezzi musicali ed ampio ricorso a strumenti fuori dall’ordinario, fra cui un’intera gamma di giocattoli.
Col suo innesto di jazz e musica classica, senza tralasciare una spruzzata di soundtracks, nel dna del cantautorato sui generis tipico di John De Leo, l’uscita de Il Grande Abarasse, lo scorso ottobre, ha segnato il ritorno alla discografia del cantante-performer originario di Lugo, a sette anni di distanza dal precedente Vago svanendo.
De Leo ha ben pochi simili nel panorama canoro italiano; lo si può piuttosto considerare un erede delle sperimentazioni vocali di un Demetrio Stratos o di una Cathy Berberian. Questa unicità è sempre stata evidente nella sua carriera, segnata dalle collaborazioni, non solamente musicali, con Stewart Copeland, Uri Caine, Louis Andriessen, Trilok Gurtu, Stefano Benni, Banco del Mutuo Soccorso, Carlo Lucarelli, Stefano Bollani, Paolo Fresu, Franco Battiato, Enrico Rava, Ivano Fossati, Alessandro Bergonzoni e tanti altri. Senza dimenticare i Quintorigo, di cui fu co-fondatore e voce dal 1992 al 2004.