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    Categoria: cultura

Note dolenti e di speranza risuonano in sintonia fra Ravenna e Otranto

Impressioni dal “viaggio dell’amicizia” in Puglia:
canti, musica sacra e lo splendore dei mosaici

Quest’anno la “Via dell’Amicizia” del Ravenna Festival – che ha legato la città bizantina alla levantina Otranto – è una strada lunga 800 chilometri a seguire la sponda dell’Adriatico, verso l’estremo sud della penisola là dove si inclina verso il profondo Mediterraneo. Ed è una lunga storia millenaria che le accomuna come porte e porti aperti ad Oriente e magistrali sedi dell’arte musiva. Otranto è estroversa (al contrario di Ravenna) nel biancore delle pietre e degli intonaci delle sue case scolpite fra le strade strette e tortuose del labirintico centro storico di impianto normanno. Intorno, il mare dal terso colore azzurro, che ricorda quella luminosa vibrazione «d’oriental zaffiro» evocata dalla poesia dantesca.
Incastonata nella medina – Otranto è gemella nell’aspetto di tante splendide cittadine greche e dalmate, spagnole e nordafricane che si affacciano sul mare nostrum – la cattedrale di Santa Maria Annunziata con la facciata che ti accoglie con il gigantesco rosone, e il suntuoso portone, scolpito nell’arenaria, la cripta con la teoria di fitte colonne come le moschee arabo-ispaniche e un dilagante mosaico pavimentale che disegna un brulicante “Albero della Vita”, ideato ed eseguito intorno al 1164 dal monaco Pantaleone e suoi maestri mosaicisti. Nulla a che fare con le ieratica raffigurazioni e la raffinata luminosità dei mosaici bizantini delle basiliche ravennati: le tessere sono più sgranate, grezze e i disegni quasi abbozzati ma l’effetto narrativo è fantasmagorico. Fra dannazione e riscatto, uomini e animali, angeli e demoni, eroi e reietti, c’è tutta la storia e l’immaginario allora conosciuto. Un bestiario medievale, un intrico di meraviglie che mescola sacro e profano, figura per figura, tessera su tessera in un condensato di riferimenti iconici che gli studiosi hanno identificato in testi religiosi ebraici, islamici, cristiani eppure in romanzi cavallereschi e allegorie profane.

Insomma un’enciclopedia visionaria talmente universale che, nel 1480, quando per la prima e l’ultima volta Otranto venne conquistata e devastata dai Turchi, fu l’unica opera degli “infedeli” risparmiata. Questa invasione degli Ottomani, durante l’impero di Maometto II, ha segnato anche una delle pagine più emblematiche della storia dell’intolleranza religiosa con il feroce massacro di oltre 800 cristiani abitanti della città che non si piegarono alla conversione all’Islam e ora sono venerati  – la Cattedrale ne custodisce le reliquie – come martiri cattolici.
Otranto è una città solare, aperta e ospitale, ma per la sua storia è anche un luogo inquieto e misterioso, come tutti i luoghi di confine che segnano lo spazio della fratellanza, dell’incontro e della tolleranza e allo stesso tempo quello dello scontro, dell’incomprensione e della violenza dell’uomo sull’uomo.
In grande sintonia con tante e tali inquietudini umane e spirituali, Ric­cardo Muti ha scelto per suggellare questo gemellaggio per la fratellanza e la vicinanza culturale fra le due storiche città, nel segno della musica, straordinarie composizioni che mai come nel doppio concerto di Ravenna e Otranto hanno messo in luce i sentimenti del dolore e però della speranza, dell’umiliazione e del riscatto, dell’esaltazione della vita e del timore della morte, dei conflitti ma anche delle riconciliazioni che possono commuovere e fare incontrare visoni mistiche, credo religiosi e tradizioni culturali diverse. Dalle note sacre di Mozart a quelle di Haydn, dall’emblematica composizione di Arvo Part (Orient&Occident) al Te Deum di Verdi, fino agli straordinari intermezzi dedicati a canti e poemi in lingua grika, azera e turca, è un tappeto di note mistiche e dolenti, passionali e disperate, ma anche amorevoli ed esaltanti. Se c’è la fatica di vivere su questa terra, e forse l’Inferno, c’è anche la possibilità di un Paradiso.
Finito il concerto – un’ora di pura spiritualità musicale – dalla Cattedrale si scende verso alle mura dove si erge l’imponente Castello aragonese, simbolo di difesa ma anche di cupo isolamento, già reso grandioso e apparentemente inespugnabile nel 1200 da Federico II. Chissà perché nel 1764, lo scrittore inglese Horace Walpole decise di intitolargli un romanzo tenebroso, romantico, che nella storia della narrativa è considerato il capostipite della “letteratura gotica”, quel genere letterario in cui poi furono inseriti autori inquieti e attratti dal mistero del rapporto fra bene e male come Bram Stoker,  Ann Rad­cliffe, Edgar Allan Poe, Nathaniel Hawthorne, Mary Shelley, via via fino al contemporaneo genio narrativo di Stephen King?
C’è il sole ma a volte irrompe l’eclisse, così nell’animo umano e nella musica.

Qui sotto una gallery fotografica da Otranto.