sabato
14 Giugno 2025
ravenna festival

Il suono del contemporaneo da Luigi Nono a Morton Feldman

Cinque concerti dal 2 al 10 giugno

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Tempo realeContinua il viaggio del Ravenna Festival tra i protagonisti della musica del secolo scorso e in particolare tra le avanguardie della seconda metà del Novecento. Un impegno nel campo della musica contemporanea che guarda anche alle vicine esperienze del Festival Angelica a Bologna e di un locale come Area Sismica di Forlì, in una città invece come Ravenna «che con la contemporaneità ha un rapporto difficile».

A parlare è Franco Masotti, condirettore artistico del Ravenna Festival e curatore in prima persona della rassegna nella rassegna, “La tradizione del nuovo”, che quest’anno omaggia con due serate consecutive al refettorio di San Vitale (2 e 3 giugno) un personaggio che rappresenta una sorta di unicum nel panorama italiano e non solo, Luigi Nono, celebre compositore impegnato, intellettuale attivo a partire dagli anni cinquanta nella ricerca di rinnovamento politico e giustizia sociale.

Masotti«Ci è sembrato il compositore italiano che più rappresentasse il tema del festival di quest’anno, che è l’idea di libertà – spiega Masotti –, a partire dalla sua composizione La lontananza nostalgica utopica futura, dedicata al grande violinista Gidon Kremer, tra l’altro in passato ospite del Festival, e che fa parte del ciclo di Caminantes, realizzato sulla base dell’idea – nata dopo aver letto la scritta su un muro di un monastero francescano a Toledo – che non è importante il luogo verso cui si cammina, ma il cammino stesso, l’essere in movimento».

Dal punto di vista musicale, Nono fu tra i primi a sperimentare con il Live Electronics e alle due serate ravennati l’apporto da questo punto di vista arriverà da Tempo Reale, tra gli storici centri di musica elettronica italiani (fondato da Luciano Berio) con cui il Festival ha intensamente collaborato in questi anni. In una città, Ravenna, che quasi insospettabilmente ha un passato legato proprio alla musica elettronica, come ricorda Masotti, che fu tra i fondatori a inizio anni Ottanta di quello che fu probabilmente il primo corso non di conservatorio organizzato da un ente pubblico. «Prima di diventare la casa delle Albe, il Teatro Rasi per due-tre anni è stato una vera e propria scuola di musica elettronica con corsi tenuti da musicisti provenienti direttamente da New York o dalla West Coast, e dove ospitammo anche concerti importanti (addirittura salì a quei tempi sul palco del Rasi Terry Riley, ndr)». Ora per fare elettronica bastano invece alcuni software nella propria cameretta e l’interesse è ormai diffuso, «ma c’è ancora chi vuole avvicinarsi ai maestri o pionieri che siano, o a chi lo fa, diciamo così, in maniera più consapevole».

NonoE sull’elettronica in qualche modo il Festival insiste, con un progetto in programma per i prossimi anni – ci anticipa Masotti – sui sintetizzatori analogici, Moog, Buchla o Serge Tcherepnin («quest’ultimo era poi il grande sintetizzatore modulare utilizzato nei corsi al Rasi, ceduto dal chitarrista degli Area Paolo Tofani che preso da raptus mistico raggiunse l’India al seguito degli “arancioni” lasciandosi alle spalle tutte le tecnologie»).

E com’è il pubblico della musica contemporanea, spesso sperimentale? «Diciamo che quelli che stiamo proponendo come sperimentalismo o avanguardia, in realtà ora sono semplicemente dei classici moderni. Che si prestano a essere ascoltati però forse più che dagli appassionati di musica classica, da appassionati di arte contemporanea, di arti visive, con una certa predisposizione mentale alle visioni, in questo caso sonore. O da amanti di Tarkovskij o Paradzanov», dice Masotti, annunciando per il prossimo anno un progetto dedicato proprio al grande regista autore di Solaris.

Tra gli spettatori in questi anni Masotti ricorda comunque anche tante curiosità, tra cui un giovane che ha seguito tutto l’integrale dei quartetti per archi di Bartòk lo scorso anno con la partitura in mano e che poi si è scoperto essere un membro della celebre band indie-rock Calibro 35, o addirittura la presenza in prima fila di Marco Pantani a un ciclo di concerti particolarmente impegnativi dedicati a Olivier Messiaen. «Ma per formare un nuovo pubblico credo sia necessario continuare nella commistione tra varie forme d’arte, come abbiamo fatto e continuiamo a fare al Festival con cinema e musica per esempio (vedi box qui sotto, ndr), ma non solo – continua Masotti –. Penso a Dante per esempio, alla possibilità di realizzare qualcosa di importante, a installazioni di arte contemporanea da affidare a grossi nomi che porterebbero a Ravenna il grande pubblico. Ma serve il coinvolgimento di tutte le istituzioni cittadine per cambiare rotta in questo senso…».

Tornando alla programmazione della “Tradizione del nuovo” («il titolo della rassegna è un omaggio al lavoro del critico d’arte americano Harold Rosenberg ma anche a una figura un po’ dimenticata come Giulio Guberti, che tra gli anni ‘70 e ‘80 organizzò un ciclo di mostre strepitose facendo scoprire l’arte contemporanea a Ravenna anche grazie alla pubblicazione della rivista, appunto, “La tradizione del nuovo”»), la seconda serata dedicata a Nono sarà sulle sue «…sofferte onde serene…», che rimandano alla dimensione del mondo in cui ha vissuto e lavorato, alla Giudecca, a Venezia, «un’evocazione di un paesaggio sonoro – spiega Masotti – che diventa paesaggio – tormentato – dell’anima».

FeldmanL’altro omaggio previsto in questa mini-rassegna è quello a un gigante (lo era anche fisicamente) come Morton Feldman, figura – lo descrive Masotti – «piuttosto isolata, spesso accostato al movimento minimalista pur non essendolo; Feldman è un poeta delle lunghe durate, ha scritto composizioni anche di oltre 4 ore e la sua musica ha una natura contemplativa, rituale». Anche in questo caso, molto vicino nelle sensazioni è il mondo dell’arte contemporanea. «Il suo modo di comporre è molto visivo», sottolinea ancora Masotti, ricordando anche una delle cose di cui va più orgoglioso: il ciclo di concerti su Giacinto Scelsi del Ravenna Festival in cui venne proposta anche – per via di una stretta parentela di estetica e poetica – la composizione di Feldman dedicata non a caso a Rothko, a San Vitale, nel 2008.
La serata di quest’anno (5 giugno, sempre al refettorio di San Vitale) invece vedrà protagonista una delle composizioni più accessibili di Feldman (della durata “solo” di un’ora e mezza), interpretata da giovani musicisti italiani (il Quartetto Klimt), Piano, Violin, Viola, Cello (1978), l’ultima che ha scritto «un modo per avvicinarsi al mondo di Feldman in maniera lieve, in un luogo molto bello», chiosa Masotti, che poi aggiunge. «Si tratta di una musica in cui bisogna saperci entrare, dopo i primi cinque minuti capisci se fa o non fa per te. Però se ci entri dentro diventa un’esperienza che ha elementi in comune con la psichedelia e non a caso da questi maestri hanno tratto ispirazione anche personaggi dell’art-rock noti a tutti come David Bowie, Brian Eno e anche un personaggio di culto come Glenn Branca».

EdisonChe Masotti non cita a caso, essendo stato quello del chitarrista e compositore newyorkese «il primo concerto organizzato in vita mia», durante quelli che vennero ribattezzati come “I dieci giorni che sconvolsero Ravenna”, nel 1982, con Glenn Branca e Pere Ubu che suonarono in un tendone da circo ai giardini pubblici in un evento che vide protagonisti anche, tra gli altri, un giovane Roberto Benigni e i primi passi del Teatro delle Albe.
«Ora l’idea è quella di riportare Branca a Ravenna, magari con Rhys Chatham, per fare al festival, dopo l’invasione di quest’anno dei violoncelli, un anno dedicato alle grandi sinfonie per chitarra elettrica, con 100-200 chitarristi a sconvolgere di nuovo Ravenna…».

Cinema e musica: Edison Studio sonorizza il Ricatto di Alfred Hitchcock
In prima esecuzione assoluta, il 7 giugno al Palacongressi di Largo Firenze, va in scena The Blackmail Project, la sonorizzazione dal vivo di quello che viene considerato come l’ultimo film muto e il primo sonoro inglese. Blackmail (Il ricatto) è sia l’uno che l’altro. È il 1929 quando Alfred Hitchcock per la prima volta sperimenta la pellicola parlante, senza però rinunciare ad una versione completamente “silent”, in cui comunque riversa tutto ciò che la più avanzata tecnologia dell’epoca può offrirgli, effetti speciali e trucchi ottici. Così come sofisticate e sperimentali sono le tecnologie impiegate da Edison Studio (quattro compositori da sempre attratti dalla sonorizzazione del muto) per reinventare il profilo sonoro del dramma interiore dei protagonisti, combinando campioni vocali e strumentali, suoni concreti e sintetici, frammenti musicali e citazioni da altri film dello stesso regista, che divengono icone sonore. Al loro fianco, Ivo Nilsson (trombone) e Daniele Roccato (contrabbasso), due maestri assoluti della musica senza confini.

BurriAvanguardie visive e sonore: dieci compositori fanno risuonare al pala De André
il Grande Ferro R di Alberto Burri
Venerdì 10 giugno (alle 23) il Grande ferro R – la maestosa e spesso dimenticata opera che nel 1990 Alberto Burri (su commissione del Gruppo Ferruzzi) realizzò a rompere il vuoto del piazzale su cui affaccia il Pala De André – diventa una sorta di palcoscenico. A cento anni dalla nascita di colui che è stato uno degli artisti più rigorosi e essenziali della nostra epoca, risuoneranno i lavori di dieci giovani compositori di musica contemporanea chiamati a mettere in musica la sua poetica. Le partiture saranno eseguite da quintetto Ensemble Suono Giallo.

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