Nell’ambito dell’omaggio a Nelson Mandela, che guida l’edizione del Ravenna Festival 2016 ecco due serate nel solco del jazz europeo, con venature diverse ma con molti punti in comune. A far da collante ai due concerti di lunedì 20 e martedì 21 giugno, al Teatro Rasi, saranno alcune personalità centrali del British Jazz come si è sviluppato dagli anni Sessanta in avanti: il batterista sudafricano Louis Moholo-Moholo, il pianista Keith Tippett e sua moglie Julie, avventurosa vocalist con lontani trascorsi nel rock.
Tutti e tre figureranno il 20 in qualità di special guests della MinAfric Orchestra, ben assortita compagine guidata dal trombettista pugliese Pino Minafra, per poi ripresentarsi con le rispettive proposte la sera dopo.
La MinAfric Orchestra nasce nel 2007 come naturale prosecuzione del Sud Ensemble di Pino Minafra: alcuni dei suoi componenti, ad iniziare dallo stesso leader, hanno alle spalle l’importante esperienza della Italian Instabile Orchestra, sorta di nazionale del jazz italiano meno incline alle convenzioni attivissima (anche all’estero) negli anni Novanta e nel decennio successivo.
Partendo da musicalità differenti, mescolando molteplici umori e colori, la MinAfric Orchestra intende dare voce e suono alle musiche del nostro tempo, volgendo lo sguardo a tutto l’orizzonte geografico e culturale del Sud, focalizzando la propria attenzione sulle complesse diversità che circondano la Puglia, naturale ponte verso l’Oriente, il Mediterraneo, l’Africa, i Balcani e oggi verso la Nuova Europa. L’orchestra, condivisa da Pino Minafra assieme al figlio Livio in veste di pianista, compositore e arrangiatore, è formata da altri valorosi jazzisti sia pugliesi, tra i quali i sassofonisti Roberto Ottaviano a Gaetano Partipilo, sia provenienti da altre regioni d’Italia (fra loro, il sassofonista piemontese Carlo Actis Dato e il trombonista siciliano Sebi Tramontana). Il progetto For Mandela, presentato per l’occasione a Ravenna, è un invito a non dimenticare un tremendo periodo storico caratterizzato dall’apartheid, attraverso composizioni di Chris McGregor, Dudu Pukwana, Johnny Dyani, Mongezi Feza, Harry Miller, Enoche Sontoga , oltre a brani dello stesso Keith Tippett e una dedica di Pino Minafra al grande poeta cileno Pablo Neruda.
A dare un significato particolare al concerto della MinAfric Orchestra è proprio la presenza di Louis Moholo-Moholo, ultimo testimone vivente della straordinaria e fertile stagione del jazz sudafricano degli anni Sessanta. Membro fondatore dei Blue Notes, successivamente componente dei Brotherhood of Breath e di altri gruppi, Louis Moholo-Moholo ha anche collaborato con uno dei guru della rivoluzione dl free jazz, il pianista Cecil Taylor, e con molti altri jazzmen delle due sponde dell’Atlantico (Steve Lacy, Derek Bailey, Roswell Rudd, Archie Shepp, John Tchicai, Keith Tippett, Peter Brötzmann, Enrico Rava, solo per citarne alcuni).
In apertura della serata del 21, il settantaseienne batterista di Cape Town si proporrà alla testa dei suoi 5 Blokes, i cui componenti (i sassofonisti Jason Yarde e Shabaka Hutchings, il pianista Alexander Hawkins, nuova star del jazz europeo, e il contrabbassista John Edwards) sono ben sintonizzati sulla lunghezza d’onda di una musica che trae linfa vitale dalla spinta propulsiva del leader e da melodie ispirate dalla tradizione sudafricana. Il risultato è un rito sonoro cui è praticamente impossibile non restarne coinvolti.
Anche la musica di Keith e Julie Tippett, solida coppia nella vita di tutti i giorni come nell’arte, possiede un che di spirituale, insieme a un pizzico di magia e mistero. Del pianista, il cui personale stile è un mix di influenze del free jazz americano e delle tradizioni europea e orientale, in molti ricordano tuttora la collaborazione con i King Crimson, gruppo icona del progressive rock, e la costituzione di una colossale orchestra denominata Centipede. Al centro del lavoro di Keith Tippett c’è da sempre il rapporto dialogico fra composizione e improvvisazione, dove l’una e l’altra convivono in armonia, talvolta confondendosi in una sorta di stimolante gioco mimetico.
Affermatasi negli anni Sessanta al fianco dell’organista Brian Auger, con il nome di Julie Driscoll, Julie Tippett ha in seguito abbandonato il mondo del rock per concentrarsi esclusivamente sull’esplorazione delle proprie notevoli risorse vocali. Tra i suoi album spicca, in questa prospettiva, Shadow Puppeteer del 1999, seducente affresco per voce e strumenti vari che va annoverato tra gli esempi più alti della vocalità contemporanea. Da menzionare sono anche le collaborazioni con altri audaci esponenti del pianeta voce quali i connazionali Phil Minton e Maggie Nichols.
Le performance del duo Keith e Julie Tippett, ospite della seconda parte della serata al Teatro Rasi del 21 giugno, sono un concentrato di lirismo, di poesia, di visionarie incursioni in territori dove la sperimentazione è sottesa da una palpabile tensione creativa.
Un altro degli ambasciatori della musica sudafricana è il trombettista e vocalist Hugh Masekela, protagonista del concerto di giovedì 23 giugno al Teatro Rasi di Ravenna con la sua band di cinque elementi (Cameron John Ward alla chitarra, Johan Wilem Mthethwa alle tastiere, Abednigo Sibongiseni Zulu al basso, Lee-Roy Sauls alla batteria e Francis Manneh Edward Fuster alle percussioni).
Classe 1939, Hugh Masekela è stato uno dei primi musicisti sudafricani a sfuggire all’apartheid, contro il quale ha sempre combattuto strenuamente, e a farsi conoscere a livello internazionale. Il jazz è stato il suo primo amore musicale: ha 14 anni quando vede il film Young Man With A Horn (nel quale l’attore Kirk Douglas modella il suo personaggio sulla figura leggendaria di Bix Beiderbecke) e riceve in regalo una tromba; di lì a poco entra a far parte della Huddleston Jazz Band, la prima orchestra jazz giovanile africana degli anni Cinquanta. E alla fine di quel decennio Hugh Masekela è già uno dei nomi più noti dell’Afro Jazz, anche in qualità di componente dei The Jazz Epistles, costituiti insieme al pianista Dollar Brand (poi noto come Abdullah Ibrahim) e ad altri musicisti di rango. All’indomani del massacro di Sharpeville, che costò la vita a 69 persone, e all’indurirsi delle leggi razziste dell’apartheid, Hugh Masekela prende la via della Gran Bretagna e quindi degli Stati Uniti. Nel 1962 esce il suo primo album, Trumpet Africaine.
Nel 1964 sposa la cantante Miriam Makeba, altro nome di grande rilievo della musica sudafricana. Nel 1967 partecipa al Monterey Pop Festival, il primo dei grandi raduni musicali giovanili: Hugh Masekela si esibisce la sera del 17 giugno, preceduto dai Moby Grape e seguito dai già celebri Byrds, trascinando migliaia di giovani ancora del tutto o quasi a digiuno di ritmi africani. La pur breve apparizione nel film tratto dal festival farà il resto, permettendo a Hugh Masekela di continuare a tenere alta la bandiera di una musica in cui jazz e tradizione africana sono sintonizzati sulla medesima lunghezza d’onda. E ancora oggi, dopo tanti anni di onorata carriera e di battaglie civili (raccontati nell’autobiografia Still Grazing: The Musical Journey of Hugh Masekela), il trombettista di Witbank, che nel 1990 è tornato a vivere in Sud Africa, giusto in tempo di assistere alla liberazione di Nelson Mandela, è uno dei simboli di una musica che per sua natura non conosce barriere di razza. Musica libera, colorata proprio come l’arcobaleno.
Tratto dal Ravenna Festival Magazine 2016, rivista ufficiale del Ravenna Festival