Ruggero Sintoni: «La nostra è una rete di teatri, non un circuito commerciale»

Lo storico fondatore di Accademia Perduta/Romagna Teatri – assieme a Claudio Casadio – dirige 12 stagioni tra cui Faenza e Bagnacavallo

Ruggero SintoniDirige dodici stagioni in diversi teatri dell’Emilia-Romagna, tra cui quelle di Bagnacavallo, Cervia, Faenza, indossa occhiali dalla montatura bianca e parla con una voce scavata da troppe sigarette. Ruggero Sintoni è un “pezzo grosso” però non manca di senso critico e di autoironia. Virtù che traspare subito dalla originale scelta che ha fatto per la collocazione del suo ufficio, ovvero l’ex-bagno della casa del custode del teatro Goldoni di Bagnacavallo. Accanto alla scrivania di Sintoni campeggia un grande manifesto su cui compare il suo nome sotto a quello di un grande del teatro italiano appena scomparso, Dario Fo.

Ruggero, che ricordi ha del maestro?
«Moltissimi, per me lui e Franca Rame furono come due genitori adottivi e con loro ho collaborato per quindici anni. Ricordo la prima volta che li ospitammo, lui viveva negli Usa e minacciava di non tornare più in Italia. Amava i colpi di teatro. Lo convincemmo a venire a Casola e trovò 5mila persone ad aspettarlo. Era il 1986 e io ero ancora alle prime armi. Ho un bellissimo ricordo del laboratorio che condusse a Cesenatico Franca Rame nel 1992. Era per attrici straniere che volevano mettere in scena i testi suoi e di Dario. C’erano attrici dalla Turchia e dall’Iran, è strano pensare che oggi i loro testi sono vietati in quei paesi».

Dario e Franca avevano spesso trovate inaspettate sul palco, è vero?
«Una sera dopo che Dario aveva vinto il Nobel, Franca interruppe uno spettacolo a Faenza. Avanzò a proscenio e disse che non si sentiva bene. Mi venne un colpo, pensai “cosa succede!?”. Poi lei disse “Scusate, ma pensare che venimmo qui venti anni fa con Dario a recitare davanti a cento persone e ora siete così tanti mi commuove”. Il teatro scoppiò in un fragoroso applauso. Poi rifece la stessa interruzione la sera dopo, e quella dopo ancora. La settimana dopo mi chiamò un amico da Rimini e mi disse “sai ieri sera Franca ha interrotto lo spettacolo perché…” e io conclusi la frase “era commossa perché era stata lì in scena con Dario venti anni fa, eccetera”. E Lui mi chiese “Come fai a saperlo?”. Lo faceva ogni sera! Se non è un gran pezzo di teatro questo! Erano geniali!»

Sintoni FoDario Fo inaugurò la vostra prima stagione del Masini nel ’94 la prima a Bagnacavallo fu con De Andrè, insomma siete partiti bene, e adesso come è gestire così tanti teatri assieme? Non si rischia di uniformare le stagioni?
«Abbiamo creato una rete di teatri unica in Italia. La rete non è un circuito, come avviene con i supermercati che comprano tanti prodotti uguali e li pagano meno. Noi facciamo programmazioni diverse in ogni teatro, ma risparmiamo perché abbiamo in comune il personale di organizzazione, la direzione, l’ufficio stampa, eccetera».

Negli ultimi anni come Accademia Perduta vi siete caratterizzati con diverse produzioni per adulti, dopo molti anni di spettacoli di teatro ragazzi, come mai?
«Dopo il successo del film L’uomo che verrà in cui Claudio Casadio recitava, Massimo Carlotto, che era rimasto colpito dalla sua interpretazione, ha deciso di scrivere qualcosa per lui, così sono nati i primi due spettacoli scritti da Carlotto e poi il nuovo scritto da Claudio Fava. Ora, come puoi vedere, ho la scrivania piena di copioni… Però continuiamo anche a fare teatro ragazzi, abbiamo infatti sei formazioni che produciamo continuativamente».

Qual è la vostra politica di gestione dei teatri?
«Cerchiamo di restituire alla città quello che ci ha dato. Il teatro viene finanziato con i soldi dei cittadini, questo non bisogna mai dimenticarlo, quindi credo sia necessario evitare integralismi nella scelta dei linguaggi facendo programmazioni che comprendono gusti diversi e collaborando con le realtà del territorio. A Forlì per esempio collaboriamo alla realizzazione del programma con Masque e Città di Ebla, importanti realtà della ricerca teatrale: questo permette di vedere a teatro compagnie particolari come La Veronal o David Espinosa, ma anche Niccolò Fabi. A Faenza abbiamo riaperto alla città il Ridotto, che dal 1862 era di un circolo privato, così da avere anche uno spazio per il contemporaneo».

Come vede la situazione teatrale a Ravenna, dove organizzate la stagione del Comico al Teatro Alighieri?
«Credo che non abbia senso parlare di Ravenna come città a sé, ma di Romagna. La Romagna è connotata da molte realtà produttive, compagnie come Raffaello Sanzio, Valdoca, Motus, eccetera. Se ci sediamo al tavolo assieme e parliamo di linguaggio teatrale possiamo anche scorticarci, ma se si parla di “fare cultura” riusciamo sempre a collaborare».

Ruggero SintoniNei vari teatri che gestite avete sempre partecipato a bandi?
«Sì, tranne a Ravenna e Meldola, dove ci sarà il bando il prossimo anno».

Lei è anche direttore dell’Agis regionale. Fare bandi per i teatri è obbligatorio? Come si è trovato ad essere esaminato a sua volta da una commissione?
«Secondo me i bandi non sono strettamente obbligatori. In generale per l’ente pubblico fare bandi è consueto, ma per quanto riguarda l’arte questo obbligo può venire meno, lo dice una normativa europea e in qualche modo lo ribadisce anche la legge 13 della Regione Emilia-Romagna».

In che senso “secondo me”? O sono obbligatori o non lo sono…
«Nel senso che per legge potrebbero non essere obbligatori, ma secondo molte Amministrazioni lo sono per seguire un’ottica di trasparenza».

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di queste gare?
«Credo che possa non avere senso fare concorsi perché l’arte non può essere giudicata con gli stessi parametri di risparmio che invece ha senso applicare per i detersivi con cui si puliscono i pavimenti degli ospedali. Se un Ente Pubblico vuole un quadro di Kounellis o Palladino non puoi dargli un altro artista dicendo che costa meno: l’arte si giudica con altri parametri. Dall’altra parte vincere un bando dà alla direzione artistica un’autorevolezza ulteriore. Bisogna però chiarire che i bandi dovrebbero partire dalla storia di un teatro e non come se quei teatri non ne avessero una, soprattutto produttiva».

In che senso?
«Non si può pensare di riportare il Rasi o l’Alighieri a prima degli anni ’80, tornare a trent’anni fa, bisogna tenere conto di tutto quello che è successo nel frattempo. Si possono mettere a gara le gestioni dei luoghi, ma non delle politiche culturali. Il rischio è che succeda come al teatro di Longiano dove il bando era vago e non si è presentato nessuno… Però quando c’è un bando di mezzo non ci sono sicurezze, può succedere di tutto».

De Pascale prima di essere sindaco di Ravenna era assessore a Cervia, lei ha collaborato con lui in diverse occasioni quando era amministratore pubblico, cosa si aspetta dalle politiche culturali della sua Giunta?
«Ho buone aspettative. Come assessore è stato molto dinamico e ha inventato iniziative molto interessanti come il Centenario di Milano Marittima. Cervia in un momento di congiuntura economica e turistica è stata un’ottima palestra per un amministratore. Credo inoltre che abbia creatività e conoscenza della politica: potrebbe osare programmi sia di innovazione che di valorizzazione della tradizione utili per una città d’arte come Ravenna».

RFM 2024 PUNTI DIFFUSIONE AZIENDE BILLB 14 05 – 08 07 24
CGIL BILLB REFERENDUM 09 – 16 05 24
SAFARI RAVENNA BILLB 13 – 19 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24