Con Rinaldo Alessandrini alla scoperta dell’utopia del barocco

Intervista al grande interprete romano, direttore artistico del festival “Purtimiro” di Lugo. L’11 dicembre concerto dedicato a Shakespeare

Rinaldo Alessandrini“Purtimiro”. Prende il nome dal finale del L’Incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi il nuovo festival di musica antica al teatro Rossini di Lugo, diretto da Rinaldo Alessandrini e fortemente sognato e voluto dal sindaco in persona, Davide Ranalli. Dopo i primi due, ottimi ed apprezzati concerti in cartellone, il festival propone, domenica 11 dicembre alle 16, un omaggio ai versi di Shakespeare e alla musica che ne è stata ispirata come quella di Henry Pourcel e Maìtthew Locke. Ad eseguire questo concerto l’Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone, assieme al soprano Berit Solset e alla voce recitante di Emanuela Marchesini.

Rinaldo Alessandrini, il direttore artistico e musicista romano, grandissimo interprete monteverdiano, ed raffinato conoscitore del repertorio barocco ha risposto a qualche domanda stuzzicando la curiosità verso uesta originale rassegna musicale lughese (vedi articoli correlati).

Da dove nasce l’idea “Purtimiro”? Come mai proprio a Lugo, nella cornice del teatro Rossini?
«”Purtimiro” è una logica continuazione dei presupposti che animarono 30 anni fa la riapertura del teatro Rossini, quando dopo l’eccellente restauro, il teatro venne destinato a un repertorio assolutamente inconsueto per un teatro italiano, grazie all’intuizione e alla lungimiranza di Tonino Taglioni. Impressiona però come, a distanza di 30 anni, l’idea del teatro barocco faccia parte ancora di quelle utopie totalmente irrealizzabili in larga scala in Italia».

Rinaldo AlessandriniPer lei è un ritorno a Lugo, giusto? Aveva già diretto un’opera? Come le pare il teatro a qualche anno di distanza?
«Ho avuto l’onore e la fortuna di essere a Lugo già dalla riapertura, per 3 o 4 anni, suonando in orchestra ma anche dirigendo un paio di produzioni. Il teatro mi pare intatto come l’atmosfera che si percepisce all’interno».

La programmazione della stagione spazia dal concerto all’opera, qual è il fil rouge che lega gli 8 appuntamenti in programma?
«L’idea dell’opera fa da spina dorsale a tutto il festival. Ciò nonostante, anche considerando il fatto che i nostri appuntamenti si svolgeranno in un arco di tempo limitato, abbiamo cercato, Valerio Tura ed io, di concepire un festival che, all’interno di una certa logica legata sia a un’idea programmatica che alla città, potesse offrire una grande varietà musicale. Il pubblico di Lugo sarà assai variegato, in parte non completamente familiare con l’opera barocca. Da qui la necessità di una strategia di programmazione che potesse comunque interessare ed attrarre quanti più spettatori possibile – e auspicabilmente formare un nuovo pubblico – pur rimanendo all’interno di linee guida generali che inquadrano i repertori del festival in un ambito sei-settecentesco».

Il festival si è aperto con un concerto interamente dedicato a Monteverdi. Lei è certamente uno dei più importanti interpreti del repertorio del cremonese, cos’è che la lega maggiormente al padre di Orfeo, Ulisse e Poppea? Qual è la vera forza nascosta della musica monteverdiana?
«La musica di Claudio Monteverdi ha rappresentato in tutti questi hanno uno stimolo continuo allo studio dei meccanismi che sovrintendono il rapporto tra testo e musica. Anche se legato alla cultura del suo tempo, Monteverdi illustra in modo inequivocabile la forza della parola cantata e fornisce spunti di estremo interesse sulle possibilità espressive della musica. Da qui il bisogno quasi quotidiano di rapportarsi con un compositore che sfida l’esecutore in un continuo lavoro di miglioramento e approfondimento».

Accademia BizantinaIl celebre chiasmo ariostesco è il titolo del concerto dedicato alle musiche di Händel ispirate ad episodi dell’Orlando furioso. Una scelta molto interessante, cosa si deve aspettare il pubblico?
«Si tratta di una selezione di arie e duetti (oltre alla musica strumentale) delle 3 opere di Händel di ispirazione ariostesca. Un connubio, quello tra il compositore e il poeta, che ha dato vita a veri e propri capolavori, potendo Händel attingere a piene mani nella dimensione favolistica che ha sempre dimostrato una grande funzionalità nell’idea dell’opera settecentesca».

Finalmente Lugo avrà una nuova produzione nata per il teatro Rossini, una commedia musicale di Alessandro Scarlatti che avrà ben 3 repliche a cavallo di Natale. Farete festa con i romagnolissimi cappelletti in brodo?
«Sono molto contento di questo allestimento. Alessandro Scarlatti rimane ancora uno dei grandi paradossi della cultura italiana, famosissimo in vita e ancora oggi, ma raramente considerato nelle stagioni d’opera italiane. Rimarremo a Lugo quasi tutto il mese di dicembre, ma le feste le passeremo ognuno con la nostra famiglia. Ciononostante le occasioni per un piatto di cappelletti a Lugo non mancheranno sicuramente!».

L’ultimo appuntamento sarà con La serva padrona. La sorpresa è che non sarà quella di Pergolesi, ma quella di Paisiello, che differenze ci sono tra le due composizioni?
«Principalmente la strumentazione che è molto più ricca in Paisiello. Il libretto è praticamente lo stesso. Cambia il linguaggio, ovviamente, che risente dell’intervallo temporale che passa tra Pergolesi e Paisiello. Ma anche questo intermezzo conferma, se ce ne fosse bisogno, come Napoli sia stata nel settecento una delle città più incredibilmente ricche di musica e ottimi compositori».

Qual è, concludendo, il concerto che più la intriga, che è curioso di cominciare a provare, tra quelli della rassegna?
«La sfida, se di sfida si può parlare, non si limita al singolo concerto: quindi per noi sarà essenziale poter verificare la tenuta del festival a fine dicembre, sapendo che ogni singolo evento avrà fatto parte di una idea molto più grande. Ci piacerebbe che il pubblico lughese apprezzasse l’impegno che abbiamo messo nel realizzare questo festival, soprattutto in tempi come questi, dove la cultura e la musica perdono interesse e attrattiva in chi dovrebbe gestirne le sorti. Si tratta, a mio avviso, di un gesto culturale come pochissimi in Italia e che si spera possa fare da apripista per altre mille iniziative simili».

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