«Il teatro strumento per amare il mondo»

Parla il premio Duse 2016 per la migliore attrice, Elena Bucci, che recentemente ha riportato in scena le Relazioni pericolose di Laclos

Elena BucciHa vinto da poco il più prestigioso premio per una attrice di prosa, il Premio Duse, Elena Bucci, originaria di Russi, è una delle voci più importanti della scena teatrale italiana, assieme alla sua compagnia Le belle bandiere. Abbiamo parlato un po’ con lei di teatro e di vita.

Com’è stato ricevere il premio Duse?
«È stata una sorpresa e una gioia. Credo che questo premio abbia riconosciuto anche il lavoro e la passione di molte altre persone che mi hanno sostenuto e accompagnato in questi anni e la pioggia di messaggi ha rinnovato tanti autentici legami costruiti nel tempo e mi ha confermato l’esistenza di una comunità attenta e paziente.  Ho sentito di doverlo dedicare a chi, con coraggio, spesso nell’ombra e lontano dai grandi media, fa del mestiere del teatro uno strumento per conoscere e amare il mondo, per trasformarlo in un luogo che accoglie e non respinge».

Per altro tu sei molto legata alla figura di Eleonora Duse a cui hai dedicato lo spettacolo Non sentire il male che hai registrato per Rai Radio3…
«Le sue lettere mi hanno fatto compagnia fin dai primi anni di teatro bolognesi e quando Walter Pretolani mi sollecitò a farne uno spettacolo, proprio nel momento in cui mi stavo allontanando da Leo de Berardinis, sentii che dovevo. Nel palazzo di San Giacomo abbandonato e vuoto, accompagnata dai miei tecnici, cominciai a studiare questa donna rivoluzionaria, coraggiosa e strana, capace di fare quello che io non sapevo e ancora mi accompagna e cambia ad ogni replica, da 16 anni».

Come è iniziato il tuo amore per il teatro?
«Il teatro mi è sempre piaciuto anche quando non sapevo di farlo, nel soggiorno della casa dei miei: costringevo tutti a recitare sfruttando le tende della vetrata come sipario. Una tiranna. Come quando tormentai i compagni di scuola per fare la compagnia, nel teatro parrocchiale Jolly di Russi nel quale volli tornare per le prime rassegne de Le belle bandiere».

Ci fu uno spettacolo che ti colpì particolarmente quando eri ragazza?
«Capitando a teatro a sedici anni con un abbonamento prestato rimasi folgorata da Carmelo Bene nel Riccardo III, passando da Santarcangelo per caso non potei distogliere lo sguardo da Morganti. Scoprii così che il teatro per me era un linguaggio e una cura. Mi pareva di non essere mai stata capace di farmi capire prima di averlo praticato. Quello che non sapevo era che si potesse farne una professione: quando lo scoprii, con disperazione dei miei».

Hai iniziato con un grande maestro come Leo De Berardinis. Quale dei suoi insegnamenti ti è rimasto più impresso?
«Leo mi ha insegnato che le prove in teatro servono anche a fermare il rumore dei falsi pensieri, delle parole vuote, per ascoltare in profondità, scoprire cosa esattamente possono dare ed essere le diverse nature delle persone e riflettere sulle infinite combinazioni tra luoghi, ritmi, energie, arti. Trasmetteva una grande fiducia nell’intuizione, sempre supportata dalla tecnica e dal rigore, e invitava a rischiare, a travolgere qualsiasi convenzione pur di afferrare il bagliore autentico di un’ispirazione. Vita e teatro erano la stessa cosa e si alimentavano a vicenda».

Sono state molte le soddisfazioni di questo lavoro, quale ricordi più intensamente?
«Sono le occasioni di maggiore rischio, le invenzioni dei testi, la scoperta di nuovi talenti, la creazione di spettacoli che hanno aperto nuovi luoghi al pubblico, le scelte pioniere, che, senza l’entusiasmo del teatro, non avrei mai avuto il coraggio di operare».

Hai anche dei rimpianti?
«Sì, la troppa dedizione a questo amore ha tolto tempo ed energia alle persone che amo».

Hai recitato grandi classici come Shakespeare e Goldoni e anche molti testi contemporanei, questo richiede un approccio diverso?
«Parto da una grande attrazione verso gli autori, una sorta di passione indiscreta verso i loro laboratori, ho il desiderio di smontare le opere per guardarci dentro e capire come sono fatte, per poi rimetterle insieme in un ordine un pochino diverso, con qualche imprecisione e fessura. In quelle differenze si nascondono il mio sguardo, il tempo che è passato, la vita di chi sta ora sul palco e offre tutti i suoi sensi all’opera».

A cosa stai lavorando?
«Nell’amato teatro di Russi abbiamo ripreso Le relazioni pericolose, a diciotto anni dal debutto con il Centro Teatrale Bresciano. E poi, per Emilia Romagna Teatri, affronteremo Prima della pensione di Bernhard, e un libro dei miei testi con CUE Press. Tutto questo sempre in collaboraziane con la mia compagnia Le belle bandiere».

Che consiglio daresti a una giovane attrice che inizia ora la sua carriera?
«Le direi di ascoltare con la maggiore intensità possibile i suoi desideri e le sue inclinazioni, di individuare, andando molto a teatro, chi la trasporti fuori di sé e fuori dal tempo, e poi di inseguirlo, imparando tutto quello che può. Le direi anche di vivere tutto quello che su un palco non può trovare, magari per farne poi materia per qualcosa che su un palco potrà arrivare».

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