Quel giro intorno alla memoria alla “Casa di Nostra Donna”

Al Mar fino all’8 gennaio la rassegna documentaria dedicata alla storia secolare della chiesa di Porto Fuori

fytcjfcjgCredo che la foto di don Mario Mazzotti fra le rovine di Santa Maria in Porto Fuori sia una delle immagini su cui si àncora parte della memoria dei ravennati sull’ultima guerra. Chi ama la storia della città ricorda questa icona perfettamente: in alto, si staglia quel che resta di un arco dell’antica basilica, crollata dopo i bombardamenti del 5 novembre 1944, che sovrasta un cumulo enorme di macerie. La nebbia appanna la visione rendendo imperscrutabile l’espressione di don Mazzotti, parroco della basilica, che a distanza guarda verso l’obiettivo. Nel suo abito nero sembra una figura rassegnata alla desolazione e alla perdita che lo segna due volte in questo contesto: quella della propria madre e di altri parrocchiani, morti sotto il crollo, e quella di una basilica a cui aveva dedicato lunghi studi importanti.
Nonostante la sua valenza memoriale, non è questa l’immagine di apertura della mostra allestita al Mar di Ravenna: potrebbe però essere introduttiva al senso dell’esposizione curata da Alessandro Volpe, docente di Arte Medievale al Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, sede di Ravenna. “La casa di Nostra Donna”, questo il titolo della mostra, concentra il proprio interesse sulle immagini e i ricordi della Basilica di Santa Maria in Porto Fuori, articolando una riflessione sul rapporto fra complesso monumentale – l’insieme di edificio storico e apparati decorativi – e ricordo visivo, tradotto nelle immagini che dal ‘700 in poi si sono accumulate fino a oggi. Come a dire, una sorta di decalogo non solo dei supporti diversi che la pratica d’arte e poi la tecnologia hanno favorito, ma anche della qualità e dell’interesse dello sguardo che ha condotto la penna, la macchina fotografica o il mouse.
Partiamo dalla fine, ovvero dalla ricostruzione digitale della chiesa che permette ai visitatori di entrare dentro lo spazio ricostruito della basilica, in modo da comprendere la morfologia degli ambienti e il posizionamento dei cicli a fresco. Si tratta di ricostruzioni digitali – eseguite presso uno dei Laboratori del Dipartimento d Beni Culturali sotto la direzione del curatore e su base documentaria – che esprimono un preciso intento didattico. Superare i grafici e le ricostruzioni tecniche su cui hanno studiato in passato generazioni di studiosi è ormai una specie di imperativo: non solo per fronteggiare il disinteresse crescente delle nuove generazioni verso l’architettura antica e medievale ma anche per evitare quella dematerializzazione progressiva dell’architettura che i grafici hanno spesso favorito. A guardarli, ci si dimenticava quasi che materia, chiaroscuri, policromia e textures fossero parti costitutive delle architetture. Inutile poi sottolineare il cambiamento epocale nel campo della percezione che costringe oggi a porsi sul piano interattivo, digitale e virtuale a cui tutti sono legati. Sdrammatizzando l’implicita esca della spettacolarizzazione, si può affermare che la strada delle ricostruzioni tridimensionali può essere scientifica, gradevole, chiara, talvolta di supporto fondamentale alla ricerca.
Dalle immagini virtuali alla tecnica fotografica che le precede: in una sala, le fotografie degli affreschi scomparsi sotto i bombardamenti restituiscono la ricchezza tecnica e iconografica affrontata dalla scuola riminese del Trecento. Segue una sala in cui viene proiettato un documentario – a cura di Elena Pirazzoli e Fabrizio Varesco – che raccoglie le memorie delle persone contemporanee che videro la chiesa, la sua vita e distruzione. Di nuovo saltando indietro nel tempo, sulle pareti si delinea il percorso delle memorie fotografiche della basilica attraverso due secoli. L’insieme restituisce la problematicità delle riprese, talvolta schiacciate su una tradizione visiva che non accetta modifiche. Appare quasi più libera la serie dei disegni tratti dagli affreschi: fra cui gli appunti e gli schizzi finissimi di uno studioso ottocentesco come Cavalcaselle e le traduzioni  infedeli e bellissimenche nel Settecento ne diede un neoclassico come Felice Giani.
Come si diceva, al cuore di questo percorso espositivo sta lo sguardo attraverso il tempo: un giro intorno alla memoria e alle sue declinazioni. La mostra è aperta fino all’8 gennaio. Ingresso libero.

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