Mostra dedicata ai Sonetti romagnoli

In Classense l’omaggio a Guerrini

Sarà una mostra alla Classense dedicata ai Sonetti Romagnoli e alla Ravenna del tempo che vi viene raccontata a chiudere le lunghe celebrazioni per il centenario della morte di Olindo Guerrini avvenuta il 21 ottobre 1916. Dal 25 febbraio al 6 maggio saranno infatti esposti alla Manica Lunga un centinaio di pezzi tra manoscritti, autografi, riviste d’epoca, fotografie e anche pezzi di arredo incentrati proprio sull’opera postuma dialettale che ha assicurato la gloria al poeta e intellettuale fino a oggi. Tra i promotori, nel contesto del Centenario guerriniano, l’infaticabile Associazione “Amici di Olindo Guerrini”, presieduta da Paolo Belletti di Sant’Alberto, dove il poeta visse da bambino, figlio del farmacista del paese: «Con il centenario abbiamo fatto un’operazione che voleva essere culturale; l’obiettivo era quello di restituire la giusta dimensione di Olindo Guerrini. Nel tempo, infatti, Guerrini si è per molti trasformato esclusivamente in Stecchetti ed è sopravvissuto per decenni solo nella sua dimensione romagnola dialettale, anche con qualche limitante stereotipo. In realtà Olindo Guerrini – precisa Belletti – è stato un protagonista della vita culturale a cavallo dei due secoli, un letterato che ha scritto best seller come Postuma (raccolta di poesie appunto firmate con lo pseudonimo Lorenzo Stecchetti, ndr) che vendette molto più delle Odi barbare di Carducci, ma che fu anche polemista, intellettuale a tutto tondo con un atteggiamento irriverente che anticiperà il Novecento. Fu bibliotecario all’università e ha lasciato tracce importanti delsuo lavoro, ma è stato anche fotografo, fondatore del Touring Club, appassionato di viaggi e di bicicletta. Ed era pure noto come gastronomo col suo testo sulla cucina degli avanzi e come corrispondente dell’Artusi. Non solo, suoi testi sono diventati opere musicali di Mascagni, Lehàr e tanti altri. Tuttavia, alla fine di questo lungo percorso, abbiamo pensato di chiudere “ridando al popolo ciò che è del popolo”, ossia una mostra sui Sonetti romagnoli per cui oggi è ancora conosciuto e amato».

E fin qui, la parte celebrativa e anche emotiva dell’omaggio.
L’aspetto scientifico dell’esposizione curata da un comitato di cui fa parte anche il professore Renzo Cremante è affidata invece dalla biblioteca Classense per ragioni storiche e letterarie, come ci spiega la direttrice Claudia Giuliani: “Come Classense abbiamo scelto di lavorare sul Guerrini dei Sonetti perché, se la fortuna di opere come Postuma e Nova Polemica oggi è stata molto ridimensionata dalla critica e non esiste più se non in termini di popolarità per qualcuno, per i Sonetti romagnoli la questione è diversa. Questi componimenti sono studiati con molta attenzione perché da un lato sono la prima operazione importante di dialetto romagnolo scritto e dall’altra perché dal punto di vista stilistico e poetico collocano Guerrini alla stregua di un Porta o un Belli, quindi tra i grandi della letteratura dialettale italiana. A dirlo sono critici come Pasolini e Contini, non stiamo parlando di un livello locale».
La ragione per cui la fama tuttavia non è mai andata molto oltre i confini romagnoli secondo Giuliani va ricercata nella difficoltà della lingua, soprattutto scritta, incomprensibile appunto fuori dai confini territoriali, almeno fino alla prossima pubblicazione dei Sonetti romagnoli (vedi box in basso).
«Il punto è che Guerrini – sottolinea Giuliani – mostra una sensibilità contemporanea quando cela dietro la burla anche l’aspetto di dolore e sofferenza. Penso per esempio al sonetto dedicato alla Balia in cui mette in contrapposizione il ridere di giorno e il sanguinare di notte. Questa complessità da alcuni sottolineata rende i sonetti più interessanti e dimostra come appiattire l’idea del dialetto sul comico sia molto riduttivo».
Giuliani tuttavia non ha un atteggiamento agiografico verso il poeta. «In lui esistono anche aspetti che personalmente trovo fastidiosi – dice la direttrice – e sono quelli che hanno contribuito a creare gli stereotipi più nefasti sui romagnoli, penso per esempio alle donne, come accade nel caso di grottesco estremo raggiunto con la figura della celeberrima Zabariona. E a lui dobbiamo l’ingiusto soprannome dato all’opera del Morigia per la Tomba di Dante, fu infatti Guerrini a bollarla come la “pivirola”. Diciamo che nella creazione di questi cliché lui ci ha messo del suo e il resto lo ha fatto la mancanza di senso critico dei posteri. Ciò non toglie che ci ha dato la possibilità di esprimerci bene nel nostro dialetto e che gli dobbiamo molto».
Cosa si potrà dunque vedere alla Manica Lunga? Molte carte guerriniane in cui nel tempo le biblioteche di Romagna si sono specializzate, a cominciare dall’Oriani, come ci spiega Giuliani, che a partire dagli anni Settanta ha raccolto – tramite donazioni dal figlio Guido Guerrini (che ne curò la pubblicazione postuma nel 1920 su indicazione del padre) e dal nipote Paolo Poletti – e acquisizioni, vari manoscritti autografi. Tra questi i Sonetti che sono stati scritti da Guerrini nel corso della propria vita su materiali da reimpiego, come il retro delle schede della biblioteca universitaria o sul verso di lettere, spesso accompagnati dai disegni dello stesso poeta.
Inoltre, l’Oriani può contare sulla raccolta di molte lettere e anche dei manoscritti delle Ciacole del Bepi (versi in dialetto veneto, il cui protagonista è papa Pio X, che Guerrini scriveva per “Il travaso delle idee”).
La biblioteca Classense da parte sua metterà in mostra il carteggio tra Corrado Ricci e Guerrini. «Lettere bellissime – dice Giuliani – da cui emerge l’intero ambiente della dotta Bologna di quegli anni, di questi intellettuali appassionati di ricerca e amanti anche della burla».
Ci saranno poi riviste, come quelle in cui Olindo Guerrini per primo pubblicò i fogli sparsi di Jacopo Landoni in dialetto. Un centinaio complessivamente i pezzi esposti, provenienti anche dalla biblioteca Saffi, da Casa Carducci a Bologna, dall’Archiginnasio e da altre biblioteche emiliane. Il tutto sarà accompagnato da un corredo iconografico di foto dedicate alla Ravenna dell’epoca e raccontata proprio nei Sonetti, dalla Tomba di Dante al Candiano fino al palazzo «che ci dicono Merlato».

L’inaugurazione si tiene sabato 25 maggio alle 17 con letture di Giuseppe Bellosi e Nevio Spadoni.

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