La montagna come luogo letterario e non solo. Intervista a Paolo Cognetti  

L’autore ospite a Ravenna e Lugo l’1 marzo con il suo best seller

La montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura. Lo sa bene Paolo Cognetti – ospite a Il Tempo Ritrovato mercoledì 1 marzo alle 18.30 a Palazzo Rasponi e al Caffé Letterario di Lugo alle 21, nello stesso giorno, nel Salone della Rocca Estense – che da Milano ha deciso di andare a vivere su una montagna isolata nella Alpi, dove ha trovato nuove ispirazioni per la sua scrittura. Con Le otto montagn” (Einaudi) ha scritto un romanzo di grande successo, tradotto in 30 paesi.

Le fa strano parlare di un libro sulla montagna a Ravenna, nella pianura più immobile?

«La montagna è un luogo letterario. Quando ho letto Il vecchio e il mare mi sono sentito sulla barca con Hemingway anche se non ero mai stato in barca. Il bello di un libro è che ti catapulta in un mondo che anche se non è il tuo, dopo un po’ di pagine, ti sembra di averci sempre abitato.Racconto del forte legame che si crea tra una persona e un paesaggio che diventa il luogo della sua memoria. Forse per chi è di Ravenna accade lo stesso con il mare».

La montagna è un luogo che suscita immagini molto forti, fa sentire l’uomo infinitamente piccolo davanti alla sua maestosità, ma è anche un luogo in cui vivere è molto faticoso e difficile.

«È il luogo in cui abito e mi sono accorto che porta a una diversa dimensione di te. Quando viviamo in città siamo portati a pensare che l’uomo abbia modellato la terra a sua immagine e che tutto sia fatto per l’uomo. La montagna è uno degli ultimi luoghi che l’uomo ha toccato poco, dove può succedere di camminare per giorni senza incontrare nessuno, dove non ci sono strade o proprietà private. Tutto questo ti riporta a un rapporto tra l’uomo e la terra molto antico e molto bello. Provo una grande sensazione di libertà, ma anche timore della natura, che esige molto rispetto e prudenza».

La sua scelta di vivere sulle Alpi è radicale per uno scrittore, molti si spostano a Milano o a Roma per avere più contatti e relazioni. Lei invece da Milano è fuggito in un luogo solitario e isolato, come facevano gli scrittori di un tempo…

«In realtà negli anni ’50 e ’60 era urgente e necessario per uno scrittore di provincia spostarsi in città perché sembrava che fuori dalle città non ci fosse nulla. E molti lo fecero in quegli anni come Bianciardi. Oggi c’è un orgoglio e un valore di quello che è “altro” dalla città e molti tornano alle loro origini. Io invece non sono “tornato” alla montagna, perché sono nato a Milano, ma l’ho scoperta. Per me è un altrove, è una fuga, è un rifiuto verso il luogo in cui sono cresciuto».

È raro trovare un romanzo italiano che parli della vita nella natura, la maggior parte degli autori è storicamente legato alle città, come mai secondo lei?

«Per qualche motivo, che non mi è del tutto chiaro, la letteratura italiana non ha mai raccontato i grandi spazi, pur avendo il Mediterraneo e le Alpi non c’è una tradizione di letteratura di mare o di montagna, la letteratura italiana è sempre stata molto urbana, vuoi che parlasse di città o di provincia».

La letteratura internazionale però si è occupata molto di natura e di montagna in modo spesso simbolico, come La montagna incantata di Thomas Mann o Walden di Thoureau, lei in che modo si è rapportato con questi classici?

«Io sono un grande lettore di letteratura americana quindi sul racconto dei grandi spazi mi sono ispirato soprattutto a Jack London e Hemingway, lo stesso Thoreau che hai citato. Ma per raccontare la nostra montagna non basta mettere Hemingway sulle Alpi, verrebbe una cosa un po’ strana, un po’ finta. Il tentativo di raccontare la montagna mi ha riconciliato con la letteratura italiana che avevo abbandonato in gioventù e quindi ho riscoperto scrittori legati ai loro luoghi come Fenoglio, Buzzati, Parise e forse più di tutti Mario Rigoni Stern che è il nostro vero scrittore di montagna».

Lei ha scritto diversi libri, anche legati alla montagna, con questo però si è destata una attenzione internazionale grandissima, che non era arrivata con i suoi libri precedenti. Si era accorto mentre scriveva questo libro che sarebbe diventato un libro così importante?

«Se fossi stato un esordiente che arriva a questo improvviso successo forse avrei pensato “cavolo, sono un genio”, invece sono diversi anni che pubblico e ho scritto sette libri prima di questo. C’è una parte di mistero in questo successo inaspettato. Credo di aver trovato qualcosa di importante nel sentire dei lettori. C’è poi un aspetto concreto, prima avevo scritto racconti di viaggio questo è il mio primo vero romanzo ed è il primo libro che pubblico con Einaudi. Non so se lo avessi pubblicato con un altro editore se sarebbe andato altrettanto bene».

In diversi la danno già come prossimo Premio Strega…

«Ho sentito anche io queste voci, ma ne so quanto voi, sto a guardare…»

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