Purtroppo il titolo getta un’ombra di presagio alla mostra perché la sensazione con cui si esce dalle sale è di indubbia spossatezza: quella che viene dopo aver visto troppo e tanto. Marchi, brand, macchine da scrivere, etichette per lassativi e olio da cucina, figurine e rebus enigmistici, calendarietti e trasmissioni televisive, illustrazioni d’autore – da quelle ottocentesche di Doré, poi rifotografate da Literverger, poi ripubblicate in formato cartolina dalla Cassel and Co. – e film a tema o di ispirazione dantesca, vignette satiriche e fumetti, pubblicità e progetti per giochi, giochi da tavolo, videogiochi, giochi televisivi, il tutto tenuto insieme dalla effigie seria, satirica o grottesca di Dante e dei personaggi della sua Commedia in una moltitudine variegata di formati, colori, supporti e stili.
In questa mostra c’è un errore d’origine – l’oversize di fondo – che costringe a chiedersi se fosse valsa la pena di ridurre sezioni e oggetti. Una mostra su Dante non è certo una sfida da poco ma va considerata l’aggravante contestuale della nostra era postdigitale: “la furia delle immagini” – per rubare il titolo a Joan Fontcuberta, uno dei massimi esperti di comunicazione e di fotografia – mette a dura prova il lavoro di chi opera nel campo delle immagini e delle esposizioni.
Ottima la scelta e l’allestimento del lavoro di Richard Long come metafora del viaggio; più contestabile invece l’installazione Sacral di Edoardo Tresoldi che nonostante sia un bel lavoro (soprattutto di sera quando è illuminato) salda con difficoltà la funzione di rappresentare il castello degli spiriti magni nel Limbo della Commedia. Non basta neppure la forma di una stella – stiamo parlando della sempre apprezzabile Stella Acidi di Gilberto Zorio, appartenente alla collezione storica del Mar – per invocare una relazione più che marginale al complesso significato religioso e salvifico dato alla volta stellare dal sommo poeta. Nel lavoro di Zorio del 1982, si portava l’attenzione al valore energetico, alla tensione di un campo di forze chiuso e autosufficiente, ad una comunicazione energetica e non dialettica. Il contesto concettuale del lavoro chiariva come un’immagine tratta dal mito ondeggiasse continuamente fra concetto e forma di cui l’artista sperimentava la distanza, analizzando il cortocircuito esistente fra forma, materiali e costruzione. Per Zorio la scelta della stella si basa non su un’analogia di forma ma quella di valore energetico in essa racchiuso. Sul piano interpretativo storico nulla quindi di più lontano di Stella acidi dalla volta celeste dantesca. Rimane pur sempre la possibilità di un’interpretazione attualizzante del lavoro ma la licenza è permessa se rimette in gioco un senso possibile e attuale di un lavoro, sottoponendosi inevitabilmente al giudizio del pubblico.
Chiudendo in bellezza, va ricordato il bel lavoro di Adelaide Cioni – non a caso uno dei rari o forse l’unico site specific in mostra – che riesce a mantenere un registro metaforico e un’ambiguità che si approssimano con delicatezza alla visione di Dante, senza vincolarne o ridurne la visione ma aggiungendo un’emozione diversa, contemporanea.