Il mondo di mezzo di Adriano Zanni, fra presenza e assenza

L’ultimo libro dell’artista ravennate contiene 84 fotografie in bianco e nero. Quasi la metà è associata a una traccia sonora, registrazioni ambientali o brevi composizioni elettroniche

Fulmini e saette: non so da dove provenga il suo nom de plume ma è quello che ­firma la rubrica presente da tempo sul sito che state visitando. Basata su fotografi­e in puro bianco e nero, qui si racconta un territorio in modo sommesso e poetico.

Il vero nome dell’autore è Adriano Zanni, fotografo ravennate nato nel ‘64, che in realtà è qualcuno in più di questo. La sua carriera è infatti partita agli inizi con la musica – in particolare composizioni elettroacustiche e concerti dal vivo – una passione mai tralasciata. Anzi, Zanni l’ha ampliata, occupandosi di live set, di registrazioni ambientali e delle possibili interazioni fra fotografia­ a e suono. Addirittura, ha sconfi­nato nel campo dei video e della web art, sostanzialmente portando avanti un approccio all’arte del tutto multidisciplinare. In sé si tratta di un modo di creare condiviso da molti altri artisti contemporanei che spesso passano da una tecnica all’altra, dall’arte visiva alla musica e viceversa. Meno diffusa invece è la pratica adottata dal fotografo ravennate che realizza un lavoro mediante un’interazione attiva e simultanea fra le due tecniche, secondo una modalità creativa generalmente praticata da chi si occupa di video, corto e lungometraggi. Adriano Zanni quindi da una parte si è dedicato alle immagini e al suono in forme separate ma ci restituisce adesso anche un saggio di questa combinazione innovativa fra i due campi grazie ad una pubblicazione fresca fresca, uscita a­ fine maggio.

Intitolato These Important Years, il libro autoprodotto dall’artista contiene 84 fotografi­e in b/n, realizzate fra il 1998 e il 2022. Di queste, quasi la metà è associata a una traccia sonora. Si tratta di registrazioni ambientali o di brevi composizioni elettroniche composte da Zanni e scaricabili dalle pagine dell’immagine collegata tramite un QR Code. I suoni e le composizioni acquistano anche una vita parzialmente autonoma: Soundtrack for a Photobook è infatti un album di altre 7 tracce in formato digitale che raccoglie materiale inedito o parzialmente tale, in allegato al libro o acquistabile in forma separata da Bandcamp.

In effetti, questo tipo di lavoro è una sorpresa: tolte le eccezioni del linguaggio cinematografico che ovviamente fa proprio un dialogo fra immagine in movimento e il sonoro, e gli allestimenti immersivi fra visivo e suoni, siamo abituati a dividere mentalmente l’immagine fotogra­fica – lo still – dal suono. Anzi, è del tutto usuale guardare un’immagine immersi in un silenzio mentale. Se esiste una musica di accompagnamento alle fotografie – intendo quelle montate a slide – questa è spesso da sopportare: da un certo punto di vista è come vedere due mondi che non si parlano o, alla peggio, constatare la funzione del tutto riempitiva e ancillare del suono.

Per cui, questa modalità creativa di Zanni ci porta verso un’esperienza inusuale in cui due campi creativi entrano in un dialogo avviato con competenza dalla stessa persona. Con quale funzione? Non direi che si tratti di una stampella per coprire una manchevolezza, né che sia necessaria una contestualizzazione informativa data dall’immagine nei confronti dei ­ field records o viceversa. Se fosse così, dovremmo presumere una debolezza dell’immagine o del suono, ritenerli incapaci di una vita autonoma. Si tratta, credo, invece di intrecciare sensorialmente due capacità di memorie diverse prolungando l’emozione recettiva. Nel caso di soundtrack elettroniche invece, la costruzione dell’immagine si specchia in quella sonora dando origine a un ibrido che non è più né solo suono, né sola immagine.

Adriano Zanni (2)Questa inedita modalità di guardare e ascoltare in una sorta di rimbalzo fra immagine e suono è – almeno per me – spiazzante. Osservo da tempo le immagini di Adriano vivendole come una sorta di haiku visivi, ben diverse nella loro rigorosa indagine compositiva da una certa fotografi­a minimale. Il minimo delle fotografia­ di Zanni – basato su una griglia compositiva ineccepibile e sulla costante del bianco e nero – deborda sempre per un eccesso di vita, magari scomparsa, dimenticata, abbandonata ma sempre onnipresente. Le case, una sorta di meta costante della flânerie praticata dall’artista, testimoniano un’inevitabile presenza che aleggia costante, investendo gli interni e gli esterni degli edi­fici. Allo stesso tempo, le fotografi­e colgono una quotidianità di scorci, appuntano in una sorta di diario visivo una serie di incontri casuali con oggetti, alberi, edi­fici, distaccandosi dalla pratica di immagini sporche, volutamente dimesse, che si inseriscono in alcune correnti della fotografia­ a contemporanea. Quello che diverge da questa tendenza è il rigore di cui si diceva ma anche una delicatezza di sguardo che si incunea fra poesia e malinconia.

Tutte le immagini si aggregano su alcuni elementi reiterati. Emergono ad esempio i contrasti, non solo stilistici ma nei soggetti: fra le macerie di una casa e gli edi­fici integri attorno, fra blocchi di cemento e natura, fra vetri o reti che separano dagli oggetti della visione (ricordo una bellissima foto di paesaggi attraverso una rete bucata di Lee Miller). La resilienza è un altro elemento centripeto del lavoro, soprattutto se le immagini riguardano alberi e piante, ammirevoli nel loro sforzo di sopravvivere invadendo pareti, accerchiando ingressi, ergendosi anche da morti come rispettabili totem antichi. Alcune immagini sembrano condividere con gli ukiyo-e – le immagini del mondo fluttuante – la constatazione dell’impermanenza del mondo: in particolare, se i soggetti sono fumo o gabbiani, onde che dirompono o esili scheletri animali, la visione è quella di un mondo evanescente.

Spesso è il nostro territorio ad essere protagonista. Lo esempli­fica la stragrande maggioranza di immagini catturate nei contesti conosciuti da chi abita qui: la spiaggia ripresa d’inverno, le campagne in mezzo alla nebbia, le case coloniche ricorrenti nelle loro forme sghembe e sgraziate. Il territorio è tutto presente nei suoi drammatici chiaroscuri fra bruttezza e bellezza, fra invasione cementizia e natura, in bilico tra persistenze e oblio. Poche sono le immagini che hanno come soggetto le persone: anche in questo caso non c’è alcuna epica nel racconto delle vite; quello che conquista l’occhio è un particolare, un’espressione, una posizione del corpo che risultano in eccedenza e rimettono lo sguardo nella solita posizione delicata di chi guarda e non giudica.

La musica elettronica o ambientale, quando si collega alle immagini, dà un’ulteriore chiave di lettura; apre un mondo da una porta diversa riconfermando i toni del contrasto, della resilienza, sfumando in una variegata gamma che comprende solitudine e ricordi. Fra presenza e assenza, Zanni mette in mostra il mondo di mezzo.

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